La chiesa è il risultato di una fusione di stili e culture differenti, scrigno di opere d’arte e sorprendenti architetture
di Emanuele Drago *

Chi vede per la prima volta la Cattedrale di Palermo stagliarsi sul punto più alto dell’antico Cassaro non può che rimanerne abbagliato. Non solo per maestosità, ma anche per quella luminosità che la particolare pietra con cui è stata costruita riesce a conferirgli, sebbene ulteriormente impreziosita dalla grande balaustrata in marmo in cui fanno bella mostra le state delle sante palermitane, dei due vescovi palermitani che divennero Papi (Agatone e Sergio) e dei primi cristiani, Eustorgio, Procolo e Golbedeo, seguaci del martire Mamiliano.

Quello che è possibile ammirare in questo capolavoro architettonico è frutto di uno straordinario e involontario sincretismo, che è stato capace, nei secoli, di sovrapporre stile differenti che ne hanno accresciuto il fascino: la cupola neoclassica, il portale gotico catalano, le cupolette in maiolica barocche, la struttura stereometrica normanna, le fondamenta araba, le torri tardo medievali e il campanile neogotico. E pensare che sorge sui resti di un cimitero paleocristiano che in origine era addossato alla chiesa dell’Assunta (attuale cripta) poi inglobata all’interno della grande moschea (Gami) che gli arabi costruirono subito dopo la loro occupazione (decimo secolo).

Come non rimanere estasiati davanti al grande loggiato in cui sul timpano, su tarsie di marmo nero, è rappresentato l’albero della vita con al centro il Dio benedicente; oppure nello scoprire, sempre nello stesso portale, ciò che resta dell’antica moschea in un’unica colonnina in cui vengono riportate le seguenti parole del Corano: “Egli copre il giorno del velo della notte che avida l’insegue; e il sole e la luna e le stelle creò, soggiogate dal Suo comando. Non è a lui che appartengono la creazione e l’Ordine? Sia benedetto Iddio, il Signore del creato!”.

Certo, una volta varcato l’ingresso, si storce un po’ il naso nel cogliere la repentina difformità stilistica rispetto alla facciata esterna, soprattutto se prima si è visitata la Cappella Palatina e Santa Maria dell’Ammiraglio. Ma basterà abituarsi alla nuova flebile luce che domina l’interno per riscoprire, cappella dopo cappella, gli straordinari tesori che anche l’interno possiede. A cominciare dalle tombe reali, luogo in cui è sepolto lo Stupor Mundi, Federico II, la madre, Costanza d’Altavilla, Ruggero II ed Enrico VI.

Altri tesori sono la meridiana, la cappella che custodisce le reliquie delle quattro sante (manca Sant’Oliva sepolta nella chiesa di San Francesco di Paola) e i primi vescovi cristiani, a cominciare da quel Mamiliano, martire decapitato che oggi è patrono dell’isola del Giglio, luogo in cui si era rifugiato dentro una grotta. Ma molto bello appare anche il fonte battesimale sotto cui sembra sgorghi ancora l’acqua del Papireto, o la raffinata Madonna “Liberi Inferni” di Francesco Laurana.

Sul transetto lasciano senza fiato, oltre la cappella di Santa Rosalia, dentro cui è esposta l’urna della Sinibaldi (seicento chili di argento), il crocifisso che la famiglia Chiaramonte donò alla Cattedrale, ma anche l’altare in lapislazzuli del Santissimo Sacramento, gli scanni d’impronta catalana e, sul calotta dell’abside, l’affresco in cui il saccense Mariano Rossi volle rappresentare la cacciata dei Saraceni e la relativa consegna della vecchia moschea Gamì al nuovo vescovo Nicodemo, sancita tra l’altro alla presenza di Roberto il Guiscardo e il Conte Ruggero.

Tra le varie cappelle si può fare la scoperta, tra le tante altre cose, oltre che della tomba del Beato Giuseppe Puglisi, dei pezzi che componevano la smembrata tribuna dei Gagini; sciagurata scelta fatta nel Settecento da un Neoclassicismo incomprensibilmente insensibile a un’opera dal gusto rinascimentale. Per fortuna, nella nuova configurazione degli interni furono salvate le due splendide acquasantiere poste proprio sui pilastri che danno sull’ingresso dei due portici (Domenico Gagini, Spadafora e Giovanni Dell’Orto).

Ma addentrandoci dentro gli ambienti del tesoro, lo stupore continua osservando gli eleganti portali di Vincenzo Gagini, i numerosi ostensori, gli abiti talari e soprattutto, al centro della stanza, la preziosissima tiara appartenuta a Costanza D’Altavilla. Attraversi dei gradini è poi possibile accedere alla cripta – che poi è l’originaria chiesa dell’Assunta risalente al VI secolo – un affascinante scrigno sotterraneo che custodisce, tra le arcate, delimitata da colonne di granito egizio sormontato da capitelli corinzi, ben ventitré sarcofagi in stile differente, dal rinascimentale al normanno fino al romanico.

La storia della chiesa è tutta qui: nei suoi gendarmi, Gualtiero Offamilio e Simone da Bologna, sebbene le tombe più belle appartengano indubbiamente gli arcivescovi Tagliavia e Paternò. Ad esempio, il sarcofago di quest’ultimo è stato scolpito da Antonello Gagini in abiti solenni, mentre sembra dormire. Insomma, è inutile forzarne il contenuto per scoprirne le fattezze: lui è lì, davanti a noi, estatico e ieratico.
* Docente e scrittore