Il giorno più piovoso di luglio degli ultimi due secoli ha paralizzato la città, ora si contano i danni e montano le polemiche sulle responsabilità
di Giulio Giallombardo

Strade trasformate in fiumi, automobili come barche, cascate di fango che sommergono la città. Quello del 2020 è un Festino che Palermo non dimenticherà facilmente. La festa senza festa si è trasformata in una catastrofe, dopo le due ore di luglio più piovose dal 1797, secondo la stazione meteo dell’Osservatorio astronomico. Una sacca fredda dall’Atlantico si è scontrata con la cappa calda sopra la città, scatenando un nubifragio come pochi.

Mentre prosegue la conta dei danni, come accade puntualmente dopo eventi di questo tipo, piovono anche le polemiche. C’è chi punta il dito contro l’amministrazione comunale, lamentando una mancata manutenzione su tombini e caditoie, soprattutto in zone delicate come i sottopassi della città. Di contro, si difende il sindaco Leoluca Orlando: “Nessuna allerta di Protezione civile era stata emanata per la città. Se l’allerta fosse stata diramata, sarebbero state attivate le procedure ordinarie che, pur nella straordinarietà degli eventi, avrebbero potuto mitigare i rischi”. C’è anche chi sostiene che le cause siano da ricercare nei fiumi e canali interrati sotto al cemento, a partire dagli storici Kemonia e Papireto.
Davanti a calamità come quella di ieri, ovviamente, sarebbe più opportuno parlare di concause e non ricondurre tutto a un solo fattore scatenante. “Per prima cosa, quello che è accaduto va inquadrato in un’emergenza climatica in atto che determina una notevole frequenza di queste piogge intense, concentrate in un arco di tempo molto breve”, spiega a Le Vie dei Tesori News, il geologo messinese Michele Orifici, vice presidente nazionale della Sigea, Società italiana di geologia ambientale. “È chiaro che la frequenza di questi eventi – prosegue il geologo – deve imporre delle valutazioni sulle attività di prevenzione, importanti soprattutto in un centro urbano molto impermeabilizzato come Palermo”.

Una prima soluzione per ridurre i danni – ipotizza l’esperto – potrebbe essere quella delle aste idrometriche con i sensori da installare nelle strade a rischio. “A Palermo ci sono molti sottopassi, dove si potrebbero piazzare aste graduate – spiega Orifici – , non appena il livello dell’acqua inizia a salire, un sensore fa scattare semafori che bloccano il traffico. Questo andrebbe attuato con urgenza, laddove non si possa intervenire strutturalmente per mancanza di fondi e tempo. Si tratta di sistemi utilizzati in altre parti d’Italia che hanno già dato dei buoni risultati”. Oltre al fattore climatico, un altro aspetto per spiegare quanto accaduto a Palermo, va ricercato nell’adeguatezza dei canali e del sistema idrografico della città. “I fiumi interrati sono una concausa di questi eventi alluvionali – osserva il geologo – ci troviamo in un’area urbana dove le acque defluiscono superficialmente in tantissimi punti e poi si vanno a concentrare nelle zone più depresse, come i sottopassi. Sicuramente la rete idrografica di Palermo è particolare, in molte zone è vecchia e andrebbe rimodernata”.

Sull’alluvione di ieri è intervenuto anche Pietro Todaro, geologo tra i maggiori esperti del sottosuolo della città, che ha sottolineato come i sottopassi di via Leonardo Da Vinci e viale Lazio, i più colpiti dal nubifragio, “sono a rischio elevato di allagamento per la concomitanza di due aspetti, uno idrogeologico-idraulico, l’altro per inadeguatezza progettuale”. Osserva Todaro: “Secondaria, ma non trascurabile è l’incidenza della manutenzione sull’efficienza dei tombini e delle pompe di sollevamento”, mentre tra i fattori di rischio, “l’innalzamento della falda idrica libera posta giusto a piccola profondità interferente” e “l’influenza idrogeologica del canale Passo di Rigano che passa giusto vicino e va in pressione”. Una trappola micidiale, dunque, nata da una miscela esplosiva di carenze infrastrutturali, mancati allarmi e calamità naturali.