Simboli e meraviglie del cero pasquale della Cappella Palatina

Ricavato da una colonna, il candelabro alto più di quattro metri è uno dei gioielli del monumento normanno all’interno del Palazzo Reale di Palermo. Un blocco scolpito che evoca le scene dei mosaici della stanza di Re Ruggero

di Emanuele Drago *

Eliot affermava sempre che alla fine del nostro andare si ritorna sempre al punto di partenza, per conoscerlo per la prima volta. Queste riflessioni sembrano adattarsi perfettamente a un luogo iconico della città di Palermo: la Cappella Palatina. Ogni ricognizione svela minuzie e particolari mai colti prima. Non soltanto nell’insieme della Cappella ma anche in ogni singola opera.

I telamoni

È questo il caso del cero pasquale che si trova sulla destra dell’abside, vicino all’ambone. Si tratta di un blocco monolitico in marmo, realizzato alla fine del Tredicesimo secolo, alto più quattro metri e ricavato per sottrazione da una colonna del periodo romanico. La lenta ascensione che dal pavimento conduce alla sommità, rivela l’esistenza di differenti sezioni e livelli scultorei in cui è suddivisa l’opera.

Nei diversi piani sembrano ritornare le rappresentazioni fitomorfi, zoomorfi e antropomorfi presenti nell’apparato musivo della stanza di Re Ruggero. Alla base quattro leoni, il simbolo dei Normanni, s’avventano su figure umane e animali. Sopra il piedistallo si scorge un reticolo di piante rampicanti su cui sono poggiate figure alate, seguita da una scena di caccia al leone. È in questa sezione che il cero sembra riprodurre le scene di caccia scolpite nei sarcofagi romani, ma anche alcuni sarcofagi presenti dentro la Cattedrale di Palermo.

Cappella Palatina (foto Pistillo99, Wikimedia Commons)

L’ascesa al culmine, al bocciolo, continua con una rappresentazione del Cristo assiso su un cuscino che, sul ginocchio sinistro, tiene la Bibbia chiusa, mentre con la mano destra benedice alla greca. Accanto al Pantocratore una figura con mitra e pallio (con molta probabilità l’arcivescovo che commissionò l’opera) gli si prostra con deferenza. Nell’ultima sezione dell’opera, al di sotto di tre telamoni che sorreggono una scodella decorata, quattro aquile tengono a bada con gli artigli il peccato, rappresentato dal serpente, mentre col rostro beccano la coda dei pavoni, altro simbolo ricorrente nella stanza di Re Ruggero che all’allude all’eternità.

Ambone e candelabro del cero pasquale (foto Effems, Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 4.0)

Insomma, ogni elemento presente all’interno della Cappella Palatina, dall’apparato musivo alle oltre novecento raffigurazioni presenti dentro i muqarnas del tetto, sembra voglia rivelarci come l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande obbediscono a un unico disegno, quello dello stupore e della meraviglia. In tal senso, anche le minuziose e le squisite parti di cui è costituito il cero pasquale sembrano comprovarlo.

* Docente e scrittore

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