Dopo due anni di lavori, è terminato il restauro dell’opera che custodirà la copia del dipinto realizzato per la chiesa palermitana
di Giulio Giallombardo

Un’odissea dell’arte che si chiude lì dove era iniziata cinque secoli fa. Una chiesa, un altare e un quadro: sono i tre protagonisti di un rompicapo dove i pezzi mancanti sono ormai tornati tutti al loro posto. L’altare di Antonello Gagini è stato ricostruito nella Cappella Anzalone dello Spasimo ed è pronto a essere inaugurato il 9 luglio. Custodirà ancora una volta, anche se in copia, il grande dipinto di Raffaello realizzato per la chiesa palermitana: una riproduzione identica all’originale “Spasimo di Sicilia”, realizzata per l’occasione.

È il coronamento di una lunga e complicata ricerca durata 34 anni, condotta caparbiamente da Maria Antonietta Spadaro, architetto e storica dell’arte, che dopo aver individuato e catalogato i cinquanta pezzi dell’altare conservati a Villa San Cataldo, a Bagheria, è riuscita a rimettere insieme il puzzle (ve ne abbiamo parlato anche qui). Un ritorno alle origini, dunque, per l’altare di Gagini, realizzato nel 1517 nella grande chiesa di Santa Maria dello Spasimo, fatta costruire dal giureconsulto Jacopo Basilicò e dedicata alla moglie particolarmente devota al Madonna. Adesso, dopo quasi due anni dall’inizio dei lavori di ricostruzione e restauro, condotti dall’ufficio Città storica del Comune di Palermo, l’altare è finalmente pronto.

La copia del dipinto di Raffaello, invece, è pronta da gennaio e aspetta solo di essere collocata sull’altare. Una congiuntura perfetta per celebrare i cinquecento anni dalla morte del grande pittore del Rinascimento. La copia è stata creata – su un’idea di Vittorio Sgarbi e Bernardo Tortorici di Raffadali – da Factum Arte, laboratorio spagnolo che riproduce i più grandi capolavori del mondo, gli stessi che hanno realizzato la Natività di Caravaggio, esposta all’oratorio di San Lorenzo di Palermo. “Il mio ultimo sopralluogo è stato il 4 marzo, alla vigilia della lunga quarantena che poi ha fermato tutto, e avremmo dovuto inaugurare lo scorso aprile, – spiega a Le Vie dei Tesori News, Maria Antonietta Spadaro – con il ritorno alla normalità, i lavori sono ripresi subito e adesso siamo in dirittura d’arrivo. È un traguardo meraviglioso, la tappa conclusiva di una vicenda iniziata nel 1986 e che termina per pura casualità nell’anno di Raffaello, dopo un lavoro faticoso e difficile”.

Una ricerca travagliata come la storia che queste opere raccontano. La tavola di Raffaello custodita allo Spasimo dal 1519 al 1573, arriva in Sicilia dopo varie peripezie. Partita da Genova, la nave che trasporta il dipinto naufraga, ma la grande tavola che fortunatamente era stata ben imballata, si salva e fa rientro a Genova. I liguri, gridando al miracolo, vogliono trattenere l’opera e dovrà mettersi in mezzo addirittura il pontefice per farla arrivare in Sicilia. Nella seconda metà del Cinquecento, i monaci benedettini olivetani lasciano lo Spasimo, che nel frattempo era stato acquistato dal Senato palermitano, portando con loro nella chiesa di Santo Spirito, tutti gli arredi, compreso l’altare e il dipinto. Nel 1661, poi, il quadro arriva in Spagna, voluto da Filippo IV per il monastero dell’Escorial e ottenuto grazie alla complicità del viceré di Sicilia Ferdinando d’Ayala, che riesce a corrompere l’abate dei monaci olivetani.

Così l’altare e la tavola si separano per sempre. Se il quadro di Raffaello, dopo essere stato a Parigi, razziato da Napoleone, torna in Spagna dove si trova tutt’ora; l’altare di Gagini alla fine del Settecento viene acquistato dai gesuiti, smontato e trasferito nella Chiesa di Santa Maria della Grotta, al Collegio Massimo della Compagnia del Gesù (dove attualmente ha sede la Biblioteca regionale). Successivamente, alla fine dell’Ottocento, viene esposto al Museo nazionale dell’Olivella, diventato poi Salinas, e negli anni ’50 del secolo scorso finisce a Bagheria, smembrato in tanti pezzi a Villa San Cataldo, bene allora di proprietà dei gesuiti. È lì che inizia l’avventura per la ricostruzione: un lavoro minuzioso di rilievo dei frammenti esistenti e di raffronto con immagini d’epoca recuperate dagli archivi della Soprintendenza, che adesso si conclude dopo mille spasimi.
(Nella prima immagine in alto un particolare dell’altare, foto Igor Petyx)
