Sorprese durante gli scavi per i dissuasori in via Maqueda, in meno di due mesi riempite trenta cassette di materiale da pulire, catalogare e studiare
di Guido Fiorito

Camminiamo sulla storia della città. Basta scavare e neanche troppo a fondo. I lavori per i dissuasori antiterrorismo all’inizio di via Maqueda, nel centro di Palermo, hanno permesso di far riemergere, a meno di un metro e mezzo di profondità, reperti di età islamica e di epoche successive. Il team della Soprintendenza ai Beni culturali, formato dalle archeologhe Francesca Agrò e Carla Aleo Nero e dallo specializzando Andrea D’Agostino, ha completato il suo lavoro. In meno di due mesi sono state riempite trenta cassette di materiale da pulire, catalogare e studiare. I ritrovamenti sono stati fatti all’angolo con via Cavour a due passi da piazza Verdi. Un punto importante perché segnava la fine della città tardo cinquecentesca.

“Questo scavo aggiunge importanti notizie a quelle emerse in altri scavi del centro storico nell’ultimo decennio – dice l’archeologa Carla Aleo Nero – per esempio a piazza Bologni, piazza Vittoria e Sant’Antonino e nella zona della nuova Pretura. Questi scavi ci hanno mostrato l’espansione della città islamica che era ampia ma costituita da pieni e da vuoti che spesso ospitavano giardini. All’inizio di via Maqueda abbiamo trovato testimonianze di epoca islamica e poi più niente fino alla tracce del bastione tardo cinquecentesco. Ciò significa che questa zona era abitata in epoca araba e poi non più. In accordo con quanto sappiamo dalla storia: nell’ultima fase della dominazione araba, con l’arrivo in Sicilia dei normanni, infatti, ci sono 30-40 anni di anarchia e instabilità politica e chi può abbandona la città”.

Gli scavi sono serviti anche a stabilire il luogo in cui sorgeva uno dei tredici bastioni della cinta muraria alla fine del Cinquecento, che portava il nome di Bastione di San Giuliano o della donna D’Itria o Vidua (vedova). “Alla fine del 500 – spiega Carla Aleo Nero – la cinta muraria normanna viene rinforzata con i bastioni, in seguito ai mutamenti delle tecniche di guerra. Conosciamo i luoghi dove sorgevano ma senza estrema precisione. Il ritrovamento negli scavi di via Maqueda di una struttura a grossi blocchi di arenaria permette di identificare il luogo dove sorgeva il bastione e dove fu aggiunta la porta Maqueda poi demolita quando fu realizzato il Teatro Massimo. Le mura, di cui esistono per esempio tracce in corso Alberto Amedeo, segnavano dal tempo dei normanni in poi la netta divisione tra città e campagna. Se questa cinta muraria esistesse ancora sarebbe molto bella”.

La campagna si è chiusa con lo scavo di un pozzo quadrangolare che era stato riempito con terra che conteneva frammenti di ceramica di età islamica. Si è lavorato con difficoltà anche per la presenza di una ventina di tubi di servizio realizzati da fine Ottocento in poi. “Abbiamo rinvenuto – conclude l’archeologa – anche un canalone fognario di grandi dimensioni con volte a botte che attraversa tutta via Maqueda. Gli operai del Coime, che stanno lavorando ai dissuasori, sono stati bravi ad ascoltare le nostre indicazioni. Il tutto è il risultato di una bella collaborazione tra la Soprintendenza, diretta dall’architetto Lina Bellanca, e i vertici del Comune. Il deposito stratigrafico documenta almeno due fasi dell’abitato di età islamica e abbiamo trovato molti reperti: ceramica anche invetriata e da mensa, lucerne, pentole, tegole, anfore dipinte. Tanti frammenti e alcuni potranno essere uniti tra loro”. Un affascinante puzzle e alla fine di studi e restauri, le conclusioni saranno esposte in pannelli sul luogo dello scavo per raccontare ciò che si trovava sotto ed è riemerso alla luce.