Sepolti sotto le strade del centro storico ci sono centinaia di butti, pozzi dove sin dal Medioevo si gettava ogni genere di avanzo della vita quotidiana. Oggi queste discariche si sono trasformate in miniere di reperti archeologici
di Giulio Giallombardo

Se oggi Palermo deve fare i conti con cumuli di rifiuti per le strade, cassonetti stracolmi e discariche ovunque, afflitta da un’emergenza infinita che sembra irrisolvibile, fino a qualche secolo fa finiva tutto o quasi sottoterra. Sepolti sotto le strade della città, ci sono centinaia – forse addirittura un migliaio – di pozzi dove per secoli si gettava ogni genere di avanzo della vita quotidiana, ma anche altri tipi di detriti. Per smaltire i rifiuti c’erano i butti, parola nota nella Firenze dei Medici, usata per definire questi utilissimi ipogei, spesso ricavati da pozzi prosciugati e cave in disuso.

Ne ha scoperti tanti e li ha studiati il geologo Pietro Todaro, tra i maggiori esperti del sottosuolo di Palermo. “Li ritrovo durante la mia attività di cantiere, tra scavi e sbancamenti – racconta il geologo a Le Vie dei Tesori – . Il termine siciliano documentato nel medioevo per i butti é ‘iettaturi’ o ‘jectaturi’. Dal punto di vista cronologico hanno avuto un’enorme continuità d’uso, in base ai reperti trovati all’interno, si va dal periodo islamico fino al 20esimo secolo”. Sotto il profilo geologico, sono pozzi scavati negli strati di calcarenite, profondi fino a un massimo di 10 metri nel centro storico di Palermo e la loro imboccatura non supera mai il metro. Una volta riempiti, venivano sigillati definitivamente con la stessa lastra di pietra utilizzata per la provvisoria copertura.

Ma la loro importanza, oltre che testimoniare un particolare sistema di smaltimento dei rifiuti, è legata soprattutto a quello che queste storiche discariche nascondono. Mischiati allo scuro terriccio torboso che si è sedimentato nei secoli, i butti sono pieni di frammenti di terracotta e ceramica, fibre vegetali e legnose, ossa di animali, materiali ferrosi. A volte si tratta di reperti preziosi come frammenti di brocche di epoca normanna trovati in via Mongitore, nel quartiere dell’Albergheria, mentre altre ceramiche sono state recuperate da una dozzina di pozzi scoperti sotto il museo archeologico Salinas.

“La caratteristica forma oblunga o campana dei butti, con l’imboccatura sempre stretta a mo’ di pozzo di piccolo diametro, ben si prestava ad una loro utilizzazione come immondezzai sotterranei – scrive Todaro nella sua ‘Guida di Palermo sotterranea’. I butti dunque erano usati dai privati cittadini che potevano sfruttare preesistenti cavità del sottosuolo, all’interno di abitazioni ubicate prevalentemente nelle zone di espansione medievale. Tuttavia non si può escludere che alcune di queste cavità, per la posizione da esse occupata, siano state appositamente scavate proprio per questo fine”.

Anche se – come ricorda il geologo – non è facile ricostruire dai documenti storici come in passato fosse stato affrontato e risolto il problema dello smaltimento dei rifiuti urbani, certamente i butti rappresentavano una comoda soluzione. “I reperti e gli scarti che si trovano dentro questi pozzi – conclude Todaro – ci aiutano anche a studiare meglio gli stili di vita e l’urbanizzazione della città attraverso i secoli”.