A ottant’anni dal bombardamento del 1943, quella che fu una delle residenze più sfarzose del centro storico di Palermo intravede il passaggio a nuovi proprietari, pronti a investire per la ricostruzione. Un’operazione da 17 milioni di euro portata avanti da una squadra di professionisti
di Giulio Giallombardo

Un gigante divorato dalle bombe e dall’incuria. Una ferita aperta nel centro storico di Palermo che soltanto adesso sta per iniziare a sanarsi. A ottant’anni dal bombardamento del 1943, Palazzo Papè Valdina, che fu una delle residenze più sfarzose del Cassaro, intravede all’orizzonte il passaggio a nuovi proprietari, pronti a investire per la ricostruzione. Il progetto – ancora in fase preliminare – prevede la realizzazione di una sessantina di unità immobiliari per un totale di 10mila metri quadrati, distribuiti su più livelli: piano terra, primo piano e secondo piano con rispettivi ammezzati. Un’operazione da quasi 17 milioni di euro che trasformerà quello che attualmente è poco più di un rudere, in un’elegante residenza, con tanto di centro benessere per i residenti, palestra, parcheggi per biciclette e cortili comuni all’aperto.

Un progetto inseguito da anni che adesso sembra concretizzarsi grazie a una squadra di professionisti – architetti, ingegneri, avvocati e notai – che hanno fatto da intermediari tra gli attuali proprietari, circa una ventina, e i nuovi acquirenti, già poco più di cinquanta. La rinascita del palazzo appartenuto ai principi di Valdina passerà attraverso dieci tappe a partire dalla adesione alla manifestazione di interesse da parte dei futuri acquirenti, che hanno versato già il 10 per cento di acconto del solo costo del rudere. Tra loro molti professionisti: avvocati, magistrati, medici, commercianti, ingegneri, non solo palermitani ma provenienti anche da altre città italiane, come Milano, Napoli e Torino.

Dopo l’acquisto effettivo dell’immobile, si procederà al disciplinare d’incarico per la progettazione esecutiva, poi il rilascio dei permessi da parte degli enti preposti, la gara d’appalto e finalmente l’avvio del cantiere che dovrebbe durare 48 mesi. Se tutto andrà come previsto come dal cronoprogramma, entro poco più di cinque anni Palazzo Papè Valdina sarà ricostruito, colmando un vuoto enorme nel tessuto urbano del centro storico.

“Procederemo rispettando le volumetrie originarie, ma è ancora presto sbilanciarci sugli aspetti puramente estetici”, spiega a Le Vie dei Tesori Riccardo Pane, ingegnere di Ovrll (si legge “overall”), studio associato con sede a Londra e Palermo, che si sta occupando della progettazione insieme agli architetti Maria Gabriella Tumminelli, Maria Costanza Gelardi, Giuseppe Gelardi e Gloria Militello. A fare da tramite tra gli attuali proprietari e i nuovi, contribuendo attivamente al progetto, è stato l’architetto Giuseppe Barresi. “Sicuramente è nostra intenzione recuperare gli elementi di pregio che ancora resistono, – aggiunge Pane – come un bellissimo affresco che si è conservato quasi integro in una sala del piano nobile, la fontana settecentesca con la vasca di marmo nella corte centrale e rievocare il passetto delle monache che dalla chiesa dell’Origlione attraversava il tetto del palazzo e si affacciava sul Cassaro”.
L’intenzione dei progettisti – che sono al lavoro anche per il recupero di Palazzo Sammartino, acquistato all’asta da una cordata di 18 persone (ve ne abbiamo parlato qui) – è di recuperare anche la piccola chiesa di San Tommaso, arcivescovo di Canterbury. Un edificio dalle origini antichissime, che risale al Dodicesimo secolo, poi ricostruito in stile barocco nel Settecento e attualmente adibito a magazzino. Entrando da una piccola porta su vicolo Lombardo, difficilmente si direbbe di essere in una chiesa: dalla cantoria alla sacrestia, lo spazio è interamente occupato da alte scaffalature piene di merce e scatoloni. Ma sul soffitto si sono conservati gli stucchi settecenteschi e sul pavimento sono ancora presenti mattonelle un tempo maiolicate ancora più antiche, risalenti probabilmente al Cinquecento.

“La chiesa è ancora in vendita – fa sapere Pane – anche se ci sono diverse persone interessate, sia per questa porzione del palazzo che per le ultime unità abitative disponibili. Contiamo di raccogliere le ultime adesioni nelle prossime settimane, per passare così allo step successivo”. Saranno garantiti anche i locali commerciali al piano terra, dove attualmente ci sono una pizzeria, una gelateria, un bar e altri negozi, ma – sottolinea l’ingegnere – “vorremmo che i nuovi proprietari cambiassero, ove necessario, la destinazione d’uso, per evitare gli ennesimi locali destinati al food di cui è pieno il centro storico”.

Inoltre, per le coperture del palazzo si sta studiando una soluzione innovativa e sostenibile con “coppi” fotovoltaici: in apparenza delle semplici tegole in laterizio, ma trasparenti ai raggi solari, che nascondono un cuore tecnologico fatto di piccole celle fotovoltaiche. “La nostra idea – prosegue Pane – è di mettere insieme la tutela del bene culturale con quella dell’ambiente, con un’attenzione particolare alle componenti di sostenibilità. Vorremmo inoltre far apporre il vincolo alla Soprintendenza, chiedendo la verifica di interesse culturale del bene, per una ulteriore tutela che vada oltre quella ope legis”.

Progetti ambiziosi per cui è richiesto uno sforzo di immaginazione non indifferente, se si guarda allo stato di fatto del palazzo. Dell’imponente palazzo settecentesco oggi rimane la grande corte centrale da cui s’accede da via del Protonotaro, con un’altissima palma al centro e alberi d’agrumi, verde storico che sarà mantenuto integro. Il prospetto sul Cassaro non esiste più, se non per una piccola porzione, il resto è stato sventrato da una bomba nel 1943. Attorno alla grande corte centrale, ampia 400 metri quadrati, resistono le facciate interne scandite da alte lesene e alcuni ambienti tra il piano nobile e il secondo piano.

All’interno è uno spettrale susseguirsi di lunghi corridoi e saloni in gran parte collassati su se stessi. Le sfarzose tappezzerie di un tempo sono ancora presenti all’interno di uno dei saloni di rappresentanza, dove si conserva anche un soffitto affrescato e parte di un’alcova. I pavimenti sono coperti da calcinacci e in alcuni angoli si cammina su tappeti di carta, tra vecchi giornali, appunti e lettere d’epoca. Il grande salone delle feste, raggiungibile soltanto da un ponteggio esterno montato nei giorni scorsi, non esiste più. Il soffitto è quasi del tutto crollato insieme all’affresco che lo decorava, di cui resiste soltanto una porzione. A rendere ancora più decadente quello che rimane del palazzo, sono i saloni del piano nobile trasformati in magazzini, dove all’interno si trovano accatastati mobili e oggetti di ogni tipo.

Ma il restauro dovrà tenere conto delle poche famiglie che ancora occupano alcune porzioni dell’edificio e vivono lì da diversi decenni. “Siamo al lavoro per studiare una soluzione anche per queste famiglie, che non saranno lasciate sole – assicurano da Ovrll – . Come faremo per Palazzo Sammartino, anche in questo caso ci piacerebbe rendere vivo il cantiere di restauro, con interventi d’arte e momenti di condivisione. Non deve esserci per forza un magnate, per fare le cose bene a volte bastano solo buone idee e voglia di realizzarle insieme”.
(Foto: Giulio Giallombardo)