Custoditi a Palazzo Tarallo, nel cuore di Ballarò, oltre 12mila volumi che lo studioso riminese scomparso due anni fa, ha donato al Circolo Semiologico Siciliano
di Guido Fiorito

Il desiderio di Paolo Fabbri è stato realizzato: la sua biblioteca, le sue carte, i suoi premi trovano nuova vita a Palermo, a Palazzo Tarallo. Fabbri, scomparso due anni fa, è un maestro della semiotica, la scienza che studia la relazione tra i segni e il loro significato, o meglio il loro senso. E quindi si interessa a come sia costruito questo senso, ai simboli e alla comunicazione. Aveva insegnato alla facoltà di Magistero nell’Università di Palermo tra il 1987 e il 1990 e non aveva mai dimenticato la città. Per il terreno fertile che aveva trovato per una scienza appena nata, per i rapporti amichevoli con Antonino Buttitta e Antonio Pasqualino e non solo. Ricordava Palermo come una capitale della nuova cultura, che aveva ospitato la fondazione del Gruppo 63.

Quando, nella sua ultima visita, nel 1996, aveva conosciuto Palazzo Tarallo, aveva detto che sarebbe stato un luogo ideale per ospitare la sua biblioteca. Volontà inserita nel testamento e realizzata non senza difficoltà. I suoi volumi e documenti sono stati quindi donati al Circolo Semiologico Siciliano, presieduto da Gianfranco Marrone, suo brillante allievo e sodale di studi con la direzione comune di collane editoriali. La biblioteca è stata realizzata con il sostegno del Museo internazionale delle Marionette e di Simonetta Franci Fabbri, moglie dello studioso.

Adesso i suoi libri sono ordinati e catalogati sotto l’affresco del Trionfo di Betsabea di Pietro Martorana, al primo piano di palazzo Tarallo, in via delle Pergole 74, che già ospita le biblioteche del museo Pitrè e di Buttitta, oltre il museo della cartolina d’epoca. “I rumori del mercato di Ballarò che entrano dalle finestre sarebbero piaciuti a Paolo Fabbri. Si tratta della più grande biblioteca semiotica d’Europa”, ha detto Gianfranco Marrone, subito dopo il taglio del nastro.

La biblioteca comprende più di 12.000 volumi e decine e decine di faldoni dell’archivio personale di Fabbri trasferiti dalla casa di Rimini. Tutta una vita di letture e di studi. A parte i libri di semiotica, numerosi in francese, i titoli testimoniano la curiosità onnivora di Fabbri: dalla filosofia alle scienze umane, in particolare antropologia e sociologia, fino alla comunicazione. A volte con preziose dediche. Ma anche libri su Depero e il futurismo oppure sul concittadino Federico Fellini, al quale aveva dedicato un saggio. In alto nella seconda sala s’intravede una collezione di volumetti di Salgari e di Verne. C’è uno scaffale dedicato ad Umberto Eco, amico e per certi versi avversario, che raffigurò Fabbri “Nel nome della rosa” come Paolo da Rimini, Abbas Agraphicus.

Fabbri era un testimone geniale del suo tempo, cui piaceva andare al Teatro Biondo in loggione per dialogare con i più giovani. L’urbanista Maurizio Carta ha ricordato che il punto di partenza del suo insegnamento si può sintetizzare come “sminuire l’ovvio per acuire l’occhio”. Libertà nell’attraversare la contemporaneità, con piedi saldi nella teoria e volontà di fare. Ogni progetto, infatti, andava subito realizzato. I tanti aspetti della sua figura sono stati ricordati dagli altri intervenuti: Michele Cometa, Jacques Fontanille, Patrizia Monterosso, Rosario Perricone, Isabella Pezzini. Ovvero riflettere sulla nostra società, sulle sue mode, senza pregiudizi.

Ricorda ancora Gianfranco Marrone che sosteneva come “la memoria serva solo per guardare al futuro con responsabilità”. Da qui la necessità che il lascito di Fabbri diventi occasione di avvenimenti culturali e di nuovi studi. “La morte – ha detto Simonetta Franci Fabbri – per lui era un rito di passaggio. Chi è scomparso, sosteneva, resta reale se continuiamo a dargli la parola. Diceva: Io sono dove sono i miei libri. Quindi Paolo adesso è qui”.
(La prima foto in alto è di Dario Mangano)