Prosegue il recupero della Chiesa Madre con l’obiettivo di realizzare un percorso museale, che culminerà nella ricostruzione artistica della facciata
di Lilia Ricca

Recuperare la bellezza di un tempo. A distanza di 53 anni dal terremoto del ’68, che colpì la Valle del Belìce, tornano a rivivere i ruderi di Montevago e della sua Chiesa Madre. Insieme a Gibellina, Poggioreale e Salaparuta, Montevago è uno dei comuni che ha pagato il prezzo più alto dai danni del Sisma: con 92 vite spezzate ed un intero centro raso al suolo. I fondi regionali, destinati ai comuni del Belìce, giunti in questi mesi, sono un segnale importante, dopo mezzo secolo, per ridare vita a questo pezzo di Sicilia, dalla forte memoria storica.

Un percorso di recupero, già avviato da qualche anno, dal comune belicino, con una bonifica ambientale dei luoghi, l’inaugurazione del Baglio Ingoglia e con il museo en plein air “Percorsi visivi”, battezzato il 14 gennaio (ve ne abbiamo parlato qui). Poi la riqualificazione, in corso, con gli aiuti della Regione, della Chiesa Matrice o dei santi Pietro e Paolo, con la rimozione delle macerie, insieme ad altre tappe in programma. Uno stanziamento regionale di 10 milioni di euro per un piano di interventi di riqualificazione urbana, che interessa i comuni colpiti dal sisma del ’68.

“È passato mezzo secolo e non è poco. Il mio desiderio è ridare vita ad ogni pietra rimasta in piedi”, dichiara il sindaco di Montevago, Margherita La Rocca Ruvolo. “Tanta è la commozione, dei cittadini, in questi mesi. L’obiettivo è recuperare la memoria e rendere fruibile l’intera zona, con un percorso museale, da vivere a piedi”. Si parte dal museo della street art, con il suo belvedere, con una vista su Poggioreale, Salaparuta e sul cretto di Burri, per arrivare alla Chiesa Madre. Lì vicino, da qui a poco, nascerà un’altra opera di Ligama, in abitazioni diroccate ma ripulite.

Nella storica Chiesa Matrice o dei santi Pietro e Paolo, inaugurata nel 1826 dal cardinale Pietro Gravina, luogo autentico e dal legame ancora vivo con il territorio, sono riemersi il basamento e l’altare maggiore, tre altari laterali, alcuni capitelli con l’effige della chiesa, il sarcofago con la lapide del fratello del cardinale Gravina, diversi elementi architettonici, oltre ai resti del portone e della scala a chiocciola che conduce al campanile. “L’obiettivo è mettere in sicurezza le colonne rimaste, fare in modo che si possa fruire dell’interno, quindi arrivare al pavimento, e recuperare quanto più possibile. C’è anche un processo di catalogazione dei massi”, spiega il primo cittadino.

“Quello di Montevago è un territorio che guarda al presente, proiettandosi al futuro, di forte richiamo turistico, nel segno della memoria del ‘68”, dichiara il giovane vicesindaco e assessore allo Sport, Turismo, Spettacolo e Attività culturali di Montevago, Calogero Armato. “Tra le prossime tappe, ma è presto per parlarne – conclude Armato – c’è la ricostruzione della facciata della Chiesa Madre, affidata all’artista che lavora con acciaio e luci, quotato in tutto il mondo, Edoardo Tresoldi, tramite bando del Ministero dei Beni Culturali, grazie alla Facoltà di Architettura e Storia dell’Arte, dell’Università di Agrigento. Oltre a ricreare, con i massi recuperati e numerati, secondo un’idea dell’architetto e direttore dei lavori, Alfonso Cimino, alcune ambientazioni e contesti del sito”.