Il fotografo Domenico Aronica ha raccolto il memoriale del nonno, partigiano di Canicattì deportato nei campi di concentramento, trasformandolo in un libro. Oggi racconta la sua storia alle nuove generazioni
di Giulio Giallombardo

Porta lo stesso nome, come fosse l’eco di quella terribile odissea da tenere sempre viva e tramandare nel futuro. Domenico Aronica si chiama come il nonno, partigiano di Canicattì imprigionato nell’inferno di Mauthausen e Gusen e miracolosamente sopravvissuto. L’omonimia è quasi un monito per il nipote che, alla morte del nonno nel 2006, decide di raccogliere documenti, fotografie e appunti, e dare alle stampe il memoriale che il suo avo aveva scritto negli anni Sessanta. Un racconto crudo e asciutto, quasi documentaristico, di quei giorni di prigionia e dei mesi precedenti, fino alla liberazione con l’intervento delle forze angloamericane.
Così nasce il libro “La tragica avventura. Un siciliano dall’Altopiano di Asiago a Gusen II”, pubblicato nel 2007 da un editore veneto e che adesso Aronica ha ristampato privatamente per continuare a raccontare la storia del nonno. Come farà oggi a Canicattì, dove, in occasione del Giorno della Memoria, parteciperà a un evento commemorativo in onore del nonno, a cui intitoleranno presto una strada.

“Ho trovato degli appunti, dei fogli sparsi, molto confusi, ma l’intero manoscritto è frutto di un intenso ricordo, dovuto all’esigenza di mettere nero su bianco quell’esperienza che lo tormentò per tutta la vita – racconta Aronica, 44enne palermitano, fotografo e guida turistica – . Per questo dopo più di 15 anni dalla liberazione, penso che mio nonno sentì forte l’esigenza di scrivere un memoriale, per mettere ordine agli avvenimenti di cui era stato testimone e vittima. Ho trovato dei fogli scritti a mano, ma l’intero manoscritto fu dettato a voce da mio nonno ad un dattilografo che lo trascrisse a macchina”.

Ricordi che erano sempre vivi nella memoria, anche se Aronica senior non amava parlarne molto. “Ogni tanto – prosegue il nipote – ci raccontava qualche aneddoto e soprattutto quando vedeva film sull’argomento, come ad esempio Schindler’s List che amava molto, si lasciava trasportare dalle emozioni. Era una persona divertente, ma aveva momenti bui di tristezza profonda. Come molti che hanno vissuto gli anni della guerra, provati dalle sofferenze della fame, era attento a non sprecare il cibo. Poi ricordo che qualche volta aveva degli incubi e si svegliava urlando nel cuore della notte”.
Tutte emozioni che teneva dentro e che aveva trascritto nel memoriale, diventato il suo testamento spirituale, dove sono incisi i ricordi di quegli anni neri. Una prosa scorrevole e diretta, che a tratti colpisce duro, ma con una “coloritura letteraria” che Aronica – per lungo tempo insegnante di lettere a Canicattì – aveva voluto infondere al testo. Un racconto articolato in tre momenti: l’esperienza della Resistenza sull’Altopiano di Asiago da giugno a settembre del 1944; la detenzione a Bassano del Grappa e a Verona con il processo da settembre a dicembre; la deportazione prima a Bolzano, poi a Mauthausen e Gusen, fino alla liberazione nel maggio del ’45. Un racconto – come ha evidenziato il curatore del libro, lo storico veneto Gianni Cisotto, “parte dal nocciolo: la salita sui monti, la partecipazione alla Resistenza, da cui scaturiscono l’arresto, la detenzione, la condanna e il trasferimento al campo di Bolzano prima e poi a Mauthausen e Gusen II”.

Il ventenne Aronica – come tanti – fu sorpreso dall’armistizio dell’8 settembre 1943 mentre si trovata a Como, dove prestava servizio militare. Dopo qualche mese trascorso col fratello maggiore Ferdinando, sacerdote salesiano in un piccolo paese del Torinese, fu fermato dalle milizie fasciste nel capoluogo piemontese. Quindi fu incorporato in un reparto di artiglieria contraerea fino ad approdare a Bassano del Grappa, dove riuscì a mettersi in contatto con delle staffette partigiane, che lo accompagnarono a Rubbio di Conco sull’altopiano di Asiago. Arrestato dai nazisti nel corso di un rastrellamento, disse di essere analfabeta e si finse un soldato sbandato come tanti dopo l’armistizio. Così, fu condannato a 15 anni di lavori, inizialmente condotto nel lager di Bolzano, fu in seguito deportato a Mauthausen, nel febbraio del 1945 per poi passare nel sottocampo di Gusen II.
“Noi eravamo ormai abituati a vedere quei cadaveri, quei corpi martoriati, senza più una briciola di carne: soltanto pelle, così trasparente da lasciar vedere chiaramente le ossa – scrive Aronica nel suo memoriale, parlando dei mesi di prigionia a Gusen – . Molti di quei visi erano veri e propri teschi, in cento espressioni diverse: dolore, disperazione, pietà, odio; qualcuno esprimeva anche serenità, tutti immobili nella solennità della morte”.
Per poi gioire dopo la liberazione, quando fu salvato per il rotto della cuffia, quando ormai pesava 35 chili ed era l’ombra di se stesso. “La gioia della libertà riacquistata e della vita così miracolosamente ritrovata, ci fece perdere il senso della misura e della più elementare prudenza, a me in modo particolare: mangiai con voluttà, con ferocia, quasi che volessi compensare il mio povero stomaco del lungo, estenuante e tormentoso digiuno”.

Ma – come ricorda il nipote – il ritorno a casa non fu facile. Nel profondo sud della Sicilia, nell’immediato dopoguerra, non si aveva ancora idea delle atrocità che tanti furono costretti a subire. “Per mio nonno, come per gli altri pochi sopravvissuti italiani ai lager, il ritorno alla vita quotidiana fu estremamente complicato. Subì l’umiliazione di chi non è creduto, la derisione dei suoi compaesani per un racconto che si pensava fosse frutto della sua fantasia. In molti casi fu anche preso per pazzo. Soltanto in seguito, quando quelle immagini terribili divennero di dominio pubblico, ci si rese conto di quanto accaduto”.

Probabilmente oggi, quando ormai da quasi un anno l’Europa è ripiombata in una guerra di cui ancora non si vede la fine, se fosse vivo, Aronica sarebbe ancora una volta agitato dagli incubi. “Pensare che oggi a pochi chilometri da noi, c’è chi allestisce ancora campi di concentramento fa venire i brividi. Per questo – conclude Aronica junior – bisogna stare sempre all’erta, affinché la memoria di quei tristi giorni non si perda e mai più si ripetano orrori simili nella storia dell’umanità”.