Mille modi di dire (e fare) il cuscus

Di questa pietanza che nasce come piatto povero e casalingo si tramandano diverse ricette che ne hanno poi decretato la sua ricchezza. E come spesso accade in cucina, alcuni successi partono da un errore…

Marcella Croce

Il cuscus trapanese viene generalmente “abbivirato” in un brodetto “ristretto” di pesce, cioè innaffiato con una salsa di pesce e pomodoro piuttosto liquida, ottenuta filtrando lische e rimasugli vari attraverso un fazzoletto: in origine era un modo per riciclare le parti meno “nobili” del pesce. C’è chi preferisce usare pesce “povero” come le “vope” (in italiano boghe), e chi preferisce usare poco pesce, ma di qualità migliore.

C’è perfino chi accompagna il piatto con seppie fritte, e chi lo fa divenire cuscus dolce con l’aggiunta di zucchero e pistacchi. A Pantelleria si è conservato il costume di servire il cuscus con un intero pesce come si faceva a San Vito Lo Capo fino a una trentina di anni fa.
Non esiste un solo modo di preparare questo piatto: essendo una pietanza tradizionalmente casalinga, viene tramandato da generazioni con molte diverse ricette e ognuno prepara la zuppa con i pesci più disparati.

I granuli che dal processo di incocciatura erano rimasti troppo grossi, ad esempio, non venivano gettati via, ma cucinati a minestra: sono le frascatole che in origine erano il cosiddetto “errore del cuscus”, ma che con il tempo si sono conquistate lo status di piatto a sé stante e che esistono anche in Tunisia dove si chiamano hamsa e dove, come il cuscus, sono preferibilmente cucinate con la carne.

Ottime frascatole in brodo di pesce e gamberi sono uno dei punti forti nei menu di alcuni ristoranti delle isole Egadi, mentre in molte zone rurali del Trapanese le frascatole si cucinano a minestra con il cavolfiore, le fave secche o altre verdure.

Se servito con il pesce, il cuscus costituisce uno dei pochi piatti unici presenti nella cucina siciliana ed è il grande protagonista del Cous Cous Fest in programma quest’anno a San Vito Lo Capo dal 21 al 29 settembre.

Di questa pietanza che nasce come piatto povero e casalingo si tramandano diverse ricette che ne hanno poi decretato la sua ricchezza. E come spesso accade in cucina, alcuni successi partono da un errore…

Marcella Croce

Il cuscus trapanese viene generalmente “abbivirato” in un brodetto “ristretto” di pesce, cioè innaffiato con una salsa di pesce e pomodoro piuttosto liquida, ottenuta filtrando lische e rimasugli vari attraverso un fazzoletto: in origine era un modo per riciclare le parti meno “nobili” del pesce. C’è chi preferisce usare pesce “povero” come le “vope” (in italiano boghe), e chi preferisce usare poco pesce, ma di qualità migliore.

C’è perfino chi accompagna il piatto con seppie fritte, e chi lo fa divenire cuscus dolce con l’aggiunta di zucchero e pistacchi. A Pantelleria si è conservato il costume di servire il cuscus con un intero pesce come si faceva a San Vito Lo Capo fino a una trentina di anni fa.
Non esiste un solo modo di preparare questo piatto: essendo una pietanza tradizionalmente casalinga, viene tramandato da generazioni con molte diverse ricette e ognuno prepara la zuppa con i pesci più disparati.

I granuli che dal processo di incocciatura erano rimasti troppo grossi, ad esempio, non venivano gettati via, ma cucinati a minestra: sono le frascatole che in origine erano il cosiddetto “errore del cuscus”, ma che con il tempo si sono conquistate lo status di piatto a sé stante e che esistono anche in Tunisia dove si chiamano hamsa e dove, come il cuscus, sono preferibilmente cucinate con la carne.

Ottime frascatole in brodo di pesce e gamberi sono uno dei punti forti nei menu di alcuni ristoranti delle isole Egadi, mentre in molte zone rurali del Trapanese le frascatole si cucinano a minestra con il cavolfiore, le fave secche o altre verdure.

Se servito con il pesce, il cuscus costituisce uno dei pochi piatti unici presenti nella cucina siciliana ed è il grande protagonista del Cous Cous Fest in programma quest’anno a San Vito Lo Capo dal 21 al 29 settembre.

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