Nel centro storico della città c’è un vicolo dedicato a un bandito non violento, una scala dove sedevano i poveri e un cortile tutto da scoprire
di Beniamino Biondi

“Mazara del Vallo città di mare, di vento e di sole. Di storie antiche e di sapori senza tempo. Città di spazi e di vuoti assoluti. Città di gabbiani e di cani randagi, di santi, di marinai e di contadini. Città di vino e di logori rimpianti. Di vecchi oltre il tempo, di pietre arse di sudore, di parole e di segni senza ali. Città dell’infinito e del muro senza scampo, di pini leggeri e di foglie passate. Città di fenici venuti dal mare, di arabi senza terra, di popoli nutriti dalla storia. Città di miti e di illusioni, di musica e di silenzi nascosti. Città sazia di mistero e di futuro”.

Questa Mazara lirica, dal marcato tratto favolistico, è l’immagine che la città stessa si è data in cima a una breve scalinata; quasi un prologo al viaggio ideale che conduce alla città vecchia, alla casbah, a quei luoghi restituiti ai mazaresi dagli arabi e infine posseduti da coloro i quali, ancora una volta attraversando il mare, sono giunti in Sicilia recuperando uno spazio dell’abitare perduto, nel dedalo di cortili e viuzze che costituiscono il nucleo della più araba fra le città italiane.

Mazara del Vallo è l’idea del Mediterraneo, il senso più nobile di un recupero identitario tradotto al tempo presente, in un processo di libera armonia e di meticciato progressivo. Questa spontanea condizione sociale ha trovato, fortunatamente, un riscontro nell’attività di decoro urbano e di recupero sostenuta dall’amministrazione civica. Per incanto, questo labirinto di strade, coronato dagli odori speziati della cucina maghrebina e dagli aromi di mandorla dei dolci delle monache del convento di clausura di San Michele, muta a una vertigine urbana fatta di vicoli decorati con ceramiche locali, sui fianchi delle case, che raccontano la toponomastica insieme ad alcuni aspetti della vita quotidiana mazarese.

Un vicolo è dedicato al bandito non violento “Sataliviti”, il cui nome gli deriva dalla sua agilità di fuga attraverso i vigneti, e una scala è detta “del serraglio” o “dei poverelli” perché in essa sedevano i poveri del paese in attesa che qualche pescatore lasciasse loro una cassetta di pesce. Per certi aspetti, in relazione alla storia che racconta, il momento più curioso del centro storico è “u curtigghiu di lù ‘nfernu”, di cui un ampio pannello in ceramica testualmente recita: “Questo luogo è detto ‘il cortile dell’inferno’”.

Secondo la leggenda, anticamente, “questo sito – si legge sulle mattonelle in ceramica all’ingresso del cortile – era abitato da due famiglie originariamente amiche ma che, col tempo, erano passate a momenti di grande inimicizia. Tutto cominciò per una donna negata in sposa al figlio maggiore della famiglia ‘amica’. Quando in altro luogo della città si verificavano litigi tra opposte fazioni familiari, la gente per dire di una lite violenta diceva: ‘roba da cortile dell’inferno’. Ogni motivo anche futile era la scusa per una lite che vedeva protagonisti tutti i componenti delle due famiglie. La vita, ogni sera, nel cortile, era un ‘inferno'”.

Come si vede, è uno spaccato insolito di una dinamica siciliana piuttosto consueta, e del rapporto fra un matrimonio negato e il senso dell’onore. I pannelli in ceramica e le decorazioni che si incontrano sui muri e per le strade sono opera di artisti locali, cui hanno contribuito anche i singoli abitanti decorando con grande gusto gli spazi antistanti alle loro residenze private.

A pochi passi da questi vicoli si giunge a un’ampia strada, ariosa e rilucente, nel desiderio del mare che si fa sempre più vicino, che ospita uno dei luoghi più belli di Mazara del Vallo, e, per chi ama l’arte, senza mezzi termini irrinunciabile. Per scoprirlo, nella sua storia, si può partire da molto lontano, cioè dalla rappresentazione – durante la seconda metà dell’800 – de “La tempesta” di William Shakespeare, portata dall’attore italiano Tommaso Salvini nel piccolissimo teatro della cittadina siciliana.
Non il più piccolo – quello si trova a Ragusa Ibla nel fastoso Palazzo Donnafugata e conta 97 posti – ma di certo lì a contenderne il primato, perché il Teatro Garibaldi di Mazara, con i suoi 99 posti, è un autentico gioiello. Nato come “Teatro del Popolo” – e davvero fu tale, in quanto era un teatro a ingresso unico e senza ordini di posto, cioè fieramente democratico – fu costruito dopo i moti rivoluzionari del 1848 per volontà di comitato cittadino che volle dotare la città di una struttura teatrale.

Il canonico Gaspare Viviani fu incaricato di progettare una struttura simile al Teatro Garibaldi di Trapani, e in tre mesi venne realizzato grazie a un fondo lasciato dal vescovo Scalabrini per la ricostruzione del porto. Il teatro si cela dentro la facciata semplice di un palazzotto, mostrando un portoncino sormontato da un architrave in pietra locale decorato da due volute corinzie e un festone di ghirlande in rilievo appena sotto il cornicione dell’ultimo piano. Nel piccolo foyer, in una dimensione sospesa a un tempo remoto, si ritaglia il piccolo spazio della biglietteria in legno, e, sulla sinistra, il guardaroba.
Varcata la porta, fra pesanti drappi color porpora, ecco la platea a ferro di cavallo, con un piccolo accesso a due scale che conducono a un duplice ordine di palchetti tramezzati e con accessi separati, e al loggione. Sul boccascena campeggia una Trinacria, e dal piccolo palco si ammirano doviziosamente le belle poltroncine in legno e velluto rosso. Ma l’elemento che ancora oggi desta maggiore stupore è il fatto che l’intero teatro sia stato costruito con elementi provenienti da demolizioni navali, sfruttando le sagome curve del legno di rovere che favoriscono la spazialità convergente del luogo.

Inaugurato il 12 gennaio 1849, e dedicato a Giuseppe Garibaldi con una delibera del 5 marzo 1862, il teatro ha ospitato opere liriche, operette e rappresentazioni ludiche fino al 1930, anno dal quale l’attività andò diminuendo fino a cessare del tutto. Falliti i tentativi di un restauro nel 1981, solamente nel 2006 – cioè a ottant’anni dal suo abbandono – questo luogo è tornato al suo respiro artistico e al suo pregio culturale, e chi oggi calca quelle assi di legno attraversa la storia compiendo un’esperienza che non ha eguali, mentre Mazara del Vallo vive alla luce, tra le epifanie cromatiche del mare, smarrita nei suoi vicoli, dedita a un immaginario soave e personalissimo. “La Sicilia, il suo cuore”, per dirla con Leonardo Sciascia.