A San Cataldo, a pochi passi da Caltanissetta, c’è una collezione di oltre 500 tra rari volumi e riviste d’arte, dagli anni ’60 del Novecento sino a oggi
di Beniamino Biondi

Come giustamente sostiene Aleida Assmann, che ha compiuto studi fondamentali sull’antropologia e sulla memoria culturale e comunicativa, “controllare gli archivi è controllare la memoria”. Ciò equivale a dire che questi luoghi, bene al di là della funzione più propriamente conservativa, si configurano per la presenza simultanea dell’”aspetto politico e quello mnestico”. Chi è preda del furore archivistico e dello slancio tassonomico, ha un potente desiderio di ordine e di ricerca identitaria: nei casi più banali, dal sapore impiegatizio, il desiderio si risolve nel compimento di un triste protocollo di classificazione; nei casi più squisitamente liberi e creativi, invece, si compie nel bisogno di restituire una logica più profonda a relitti e tracce: prelevati, assemblati e reimmessi in un nuovo contesto, essi si caricano di un valore inatteso.

Se nella prima ipotesi l’archivio rimane un cumulo inerte di documenti, rassicurante proprio perché ingessato, nella seconda diventa un dispositivo critico capace di rigenerare le consuete logiche di salvaguardia, utilizzo e diffusione del sapere, riattivando così la memoria e la coscienza politica. Gli archivi sono sempre impossibili, perché non possono mai contenere e classificare il tutto, cioè un’idea di assoluto che è pensabile concettualmente ma non verificata in atto, ed è proprio in questa sua impossibilità che la pratica archivistica può assumere l’aspetto di opera d’arte, in certi casi perfino di happening culturale.
In Italia, al di là degli archivi pubblici, sono molti i privati che hanno impiegato parte della loro vita a circoscrivere entro il progetto di una classificazione ragionata alcune forme oggettuali di cultura specifica: in uno spazio chiuso che non ammette estranei, come una setta di un solo membro, o aprendo le porte a chi coltiva interessi affini, e in molti casi dando luogo alla creazione di veri e propri musei raffinatissimi.

Uno di questi luoghi, tra i più significativi per l’importanza e l’unicità dei materiali raccolti, si trova in Sicilia, a Caltanissetta, e più precisamente a San Cataldo. È l’Archivio di Comunicazione Visiva e libri d’Artista, che raccoglie una selezione di rari libri d’artista-libri oggetto e riviste d’arte a livello internazionale. Iniziato negli anni ’90 nel secolo scorso e recentemente istituito come luogo di studio e ricerca, la collezione annovera oltre 500 libri d’artista, opere in assembling box e riviste d’arte, opere sculture in forma di libri raccolti dall’archivio-collezione, che, da anni, si interessa di questo singolare mezzo espressivo di comunicazione estetica.

La raccolta costituisce senza dubbio una delle collezioni private più originali dell’entroterra siciliano, non solo per la grande quantità di opere, ma principalmente per la loro specificità e rarità. A fondarlo, e ancora oggi a dirigerlo e ad implementarne i materiali, è stato Calogero Barba, artista e collezionista, noto per il suo fondamentale contributo nell’ambito del libro d’artista. Questo luogo di studio e ricerca, emanazione dell’associazione culturale Qal’at, di cui Barba è il presidente, ospita una preziosa collezione siciliana, eccezionale sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. La raccolta rappresenta una fondamentale testimonianza storica della produzione di artist’s books, a partire dagli anni ’60 del Novecento sino ad oggi.

I volumi che compongono il fondo nisseno sono eseguiti da personalità di spicco come Andy Warhol, Ed Ruscha, Alighiero Boeti, Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti, Bruno Munari e Damien Hirst, solo per citarne alcuni. Negli anni ‘70, durante il suo periodo di formazione a San Cataldo, Barba comincia a raccogliere un numero considerevole di pubblicazioni d’arte: riviste, cataloghi e brochures, che conserva e ordina per un utilizzo futuro. In maniera quasi inconsapevole, nasce nell’artista l’esigenza di creare una memoria storica da tramandare, e, nel decennio successivo, Barba scopre il libro d’artista quale originale mezzo espressivo, grazie al critico siciliano Francesco Carbone, amico dei due tra i maggiori esponenti della poesia visiva quali Eugenio Miccini e il palermitano lgnazio Apolloni, che lo indirizza nella ricerca di questo nuovo ambito ancora inesplorato.

La raccolta possiede diversi esemplari concepiti e realizzati dalle maggiori figure artistiche delle neoavanguardie internazionali. Autori che hanno fatto parte dei fenomeni artistici e delle correnti artistiche degli anni 1960-1980, dall’arte povera italiana, alla poesia concreta, poesia visiva e visuale, alla pop art, all’arte antropologica, alla body art, al fluxus, alla transavanguardia e all’arte programmata. Barba cura le prime esposizioni pubbliche con significativi omaggi a John Cage, a Joseph Beuys e a Bruno Munari, lasciando che dall’Italia giungano appassionati d’arte per vedere, vicino a Caltanissetta, i piccoli capolavori in copia unica o in edizioni limitate, le riviste più eccentriche dell’avanguardia internazionale, e gli esperimenti di quelle stagioni felici della poesia concreta e della poesia visiva.

È un vero e proprio azzardo, che ha finito per diventare esperienza artistica, quello di Calogero Barba e della sua raccolta che impreziosisce un pezzo di storia culturale italiana – difficile, rischiosa, slegata dall’idea di mercato – e pone San Cataldo al centro di un piccolo mondo ideale, che i siciliani più d’altri possono godere profittando della squisita disponibilità dell’uomo e del racconto oramai mitico di un tempo in cui arte e libertà erano la medesima cosa.