L’ex miniera di Floristella, tra archeologia industriale e letteratura

Quello in provincia di Enna era uno dei maggiori centri di estrazione dello zolfo del Sud Italia, adesso è un sito culturale in cui si lavora per il rilancio

di Emanuele Drago*

Il parco minerario di Floristella Grottacalda è uno dei più grandi del Mezzogiorno. Si tratta di una sorta di città fantasma, dalla superficie di 400 ettari, nella provincia di Enna e in cui, fino dalla prima metà dell’Ottocento, avveniva l’attività estrattiva dello zolfo siciliano, minerale ambito in tutta Europa. La miniera (oggi di proprietà dell’ente Parco istituito con una apposita legge della Regione Siciliana emanata nel 1991) nacque alla fine del Settecento e aveva come forza lavoro, oltre che adolescenti, anche bambini, i quali, pur di portare a casa qualche soldo, lavoravano in condizioni veramente estreme. Ora è proprio per quest’ultima ragione che, al pari di altre miniere, come quelle di Aragona, Floristella Grottacalda possiede anche un particolare fascino che è legato alla storia della letteratura italiana, in generale, e siciliana in particolare, in quanto naturale palcoscenico da cui, prima Verga, poi Pirandello, trassero ispirazione per due celebri novelle come Rosso Malpelo e Ciaula scopre la luna.

Villa Pennisi

L’attività estrattiva della miniera coprì gran parte dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, fino a quando, nel 1986, venne definitivamente chiusa. Va tuttavia rimarcato il fatto che, già sotto la gestione del barone Agostino Pennisi (che aveva iniziato a dare un volto imprenditoriale all’attività estrattiva), grazie anche al perfezionamento delle processi di lavoro, le condizioni dei minatori migliorarono sensibilmente. Fu infatti in quel periodo che attorno alla villa (che il barone aveva fatto edificare e che prese il suo nome) sorse anche una masseria, un villaggio con corte e cappella in cui, vicino a una piccola stazione ferroviaria, vivevano i minatori.

Uno dei pozzi di Floristella

Oggi nel sito di Floristella Grottacalda, oltre ai tre pozzi, sono visibili anche diversi forni. I pozzi più antichi sono due, uno completamente in muratura, costruito alla fine dell’Ottocento, ed uno in ferro. Grazie a questi pozzi, mediante un particolare sistema di piani inclinati, carrucole e argani, gli operai scendevano a centinaia di metri di profondità per raccogliere lo zolfo e gli altri materiali che attraverso dei particolari ascensori venivano riportati in superficie.

Calcarone

Dopo l’estrazione, lo zolfo, tramite dei vagoni posti su appositi binari, veniva condotto in specifici forni chiamati calcaroni, grazie ai quali il minerale finiva per essere separato da tutti gli altri materiali inerti. Bastava infatti cuocere i pezzi estratti a una temperatura di fusione relativamente bassa (per un processo di combustione che durava dai venti ai trenta giorni) e il minerale tanto richiesto in tutta Europa diventava realtà. Non molto lontane dal Parco di Floristella Grottacalda si trovano anche le Maccalube, (termine che deriva dall’arabo “rivoltamento”) un esempio di vulcanesimo sedimentale che consiste nella fuoriuscita di materiale fluido sotto la superficie. In buona sostanza, si tratta di piccoli vulcani, con crateri alto circa un metro, sotto i quali sono presenti molti gas che durante determinati periodi tendono a uscire in superficie.

Pozzo nuovo

L’augurio è che al più presto questo luogo possa essere rilanciato, così come è stato auspicato lo scorso marzo in un incontro che si è tenuto nella sede dell’assessorato regionale ai Beni culturali di Palermo, tra il neo-presidente dell’ente Parco, Piero Patti, e l’assessore Alberto Samonà. Si tratta di un sito unico nel suo genere, che ha il privilegio di unire bellezze paesaggistiche e quelle legate all’archeologia industriale. Insomma, un rilancio che oltre ad avere come finalità la rifunzionalizzazione del sito, miri anche ad una sua completa valorizzazione.

*Docente e scrittore

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