La cantastorie palermitana ha recuperato una tradizione popolare che trasforma in una festa di strada la vigilia delle nozze, ma fa anche laboratori nelle scuole e visite guidate. E lancia un appello ai moderni wedding planner
di Federica Certa
Impeto, studio, coraggio. Intuito e ricerca. Smettere i panni femminili e trasformarsi in voce sola. E poi tessere trame lievi e sofisticate, parlare con amici e parenti, conoscere, di lui e di lei, il segreto del primo sguardo, l’eco delle prime parole, i progetti, i desideri. Per Sara Cappello – autrice, musicista, cantastorie palermitana, da trent’anni vedetta per salvare, recuperare, restituire la tradizione popolare siciliana in immagini, note, storie – la serenata è una faccenda di alta diplomazia. E naturalmente anche di empatia, estro, passione.
Le fa da vent’anni, le serenate. Come le faceva suo padre Gioacchino e come le facevano, fino a mezzo secolo fa, i cantori orbi e i cantastorie di quartiere. Ma lei le trasforma in eventi, in feste di strada che celebrano la musica e l’amore fermando il traffico, in una ribalta romantica e modernissima di condivisione dei sentimenti, che in questi tempi bui, o viceversa, illuminati da sfere stroboscopiche, ritrovano genuinità e candore.
“Chiunque può essere mio cliente – spiega l’artista – ma sono soprattutto persone che mi conoscono, che conoscono la mia attività e il mio stile. E vogliono fare una sorpresa inedita ad una figlia, alla sorella o alla fidanzata, magari proprio il giorno prima delle nozze”. Nasce così la serenata della sposa: Sara si prepara per giorni, incontra amici e familiari, arruola una o più “spalle” per fare da complici. E butta giù pagine di versi, che non sono i luoghi comuni dei Baci Perugina, ma un omaggio personale, diretto e sempre ispirato, alla coppia. Imbraccia la sua chitarra e va a casa dell’ignara ragazza.
Comincia a cantare, suonare, coinvolge anche il quasi marito, pronunciando le parole che lui stesso pronuncerebbe, richiamando gli applausi dei vicini e del cerchio allargato dei familiari, in una rappresentazione popolare che attinge a secoli di tradizione cortese. Poi, ad un certo punto, un’amica fidata, che intanto ha raggiunto la sposa in casa, porge alla ragazza un foglio con le battute scritte da Sara per lei. E il monologo diventa un dialogo a due, una cosa da cinema, come in una scena di Sedotta e abbandonata, ma con il lieto fine: don Vincenzo ha messo da parte il fucile, Peppino è amato e accolto dai suoceri come un figlio, Agnese non è disonorata e il paese non mormora, ma fa un tifo matto per i due innamorati.
“Pochi giorni fa – ricorda Cappello – ho fatto la serenata a Maria Grazia, da parte di Antonio. Ma in realtà era stato il padre di lei ad avere avuto l’idea, tempo fa, quando era in sala a vedere un mio spettacolo al teatro Cantunera. Per scrivere i versi mi sono ispirata alla storia di questa ragazza: il padre, che era venuto a mancare prima del suo matrimonio, aveva voluto lasciarle in dono un regalo speciale, il valore della memoria e degli affetti più cari che la musica continua ad evocare”.
Perché non è solo il capriccio di una notte di luna, che costa dai 400 ai 500 euro e può durate da 45 minuti a un paio d’ore; né solo il timbro potente di Sara e la sua fantasia che viaggia per inesauribili condotte. “È conservare le radici – dice l’autrice – impedire che si secchino. È un discorso dell’anima, una magia antica che irrompe nel contemporaneo”. E che canta le tempeste del cuore, ma anche la figura femminile, così com’era vista dai poeti dialettali siciliani di due, tre secoli fa, che paragonavo la donna ad un vascello, un diamante. “Io rievoco un mondo che è andato via – sorride Sara – e dimostro che in realtà non è affatto perduto”. È una combattente, la Cappello. Di sé dice di essere “una sopravvissuta”.
Perché – nonostante le mille difficoltà, i soldi che non ci sono, le incertezze di un mestiere che obbliga a dover sempre chiedere, bussare, aspettare, a dispetto di una nobile e coriacea carriera – lei è ancora lì, con il suo ‘pantheon’ di autori che le fanno compagnia, Favara, Vigo, Pitrè, Salomone Marino, le carte, i dischi, la risata verace di una quattro volte nonna che non si arrende. E ha sempre nuove sfide da disputare. I laboratori-spettacoli nelle scuole, dove racconta a bambini e ragazzi le storie incantate dei quartieri popolari e le vicende misteriose dei loro eroi; le visite guidate nei luoghi più affascinanti della vecchia Palermo; la rassegna alla Cantunera, lo spazio dell’associazione “Città dell’arte”, aperto tre anni fa in via Bara all’Olivella con fondi europei, dove presenta i suoi spettacoli e chiama ad esibirsi i colleghi, da ottobre a giugno.
E fa un appello ai wedding planner cittadini, che organizzano matrimoni sontuosi e non badano a spese per accaparrarsi una novità: “Tra un buffet e un servizio fotografico – la butta lì – perché non inserire anche una serenata, alla vigilia delle nozze ? Così facciamo lavorare i nostri artisti, rinnoviamo la tradizione e regaliamo un momento particolare agli sposi”.
La cantastorie palermitana ha recuperato una tradizione popolare che trasforma in una festa di strada la vigilia delle nozze, ma fa anche laboratori nelle scuole e visite guidate. E lancia un appello ai moderni wedding planner
di Federica Certa
Impeto, studio, coraggio. Intuito e ricerca. Smettere i panni femminili e trasformarsi in voce sola. E poi tessere trame lievi e sofisticate, parlare con amici e parenti, conoscere, di lui e di lei, il segreto del primo sguardo, l’eco delle prime parole, i progetti, i desideri. Per Sara Cappello – autrice, musicista, cantastorie palermitana, da trent’anni vedetta per salvare, recuperare, restituire la tradizione popolare siciliana in immagini, note, storie – la serenata è una faccenda di alta diplomazia. E naturalmente anche di empatia, estro, passione.
Le fa da vent’anni, le serenate. Come le faceva suo padre Gioacchino e come le facevano, fino a mezzo secolo fa, i cantori orbi e i cantastorie di quartiere. Ma lei le trasforma in eventi, in feste di strada che celebrano la musica e l’amore fermando il traffico, in una ribalta romantica e modernissima di condivisione dei sentimenti, che in questi tempi bui, o viceversa, illuminati da sfere stroboscopiche, ritrovano genuinità e candore.
“Chiunque può essere mio cliente – spiega l’artista – ma sono soprattutto persone che mi conoscono, che conoscono la mia attività e il mio stile. E vogliono fare una sorpresa inedita ad una figlia, alla sorella o alla fidanzata, magari proprio il giorno prima delle nozze”. Nasce così la serenata della sposa: Sara si prepara per giorni, incontra amici e familiari, arruola una o più “spalle” per fare da complici. E butta giù pagine di versi, che non sono i luoghi comuni dei Baci Perugina, ma un omaggio personale, diretto e sempre ispirato, alla coppia. Imbraccia la sua chitarra e va a casa dell’ignara ragazza.
Comincia a cantare, suonare, coinvolge anche il quasi marito, pronunciando le parole che lui stesso pronuncerebbe, richiamando gli applausi dei vicini e del cerchio allargato dei familiari, in una rappresentazione popolare che attinge a secoli di tradizione cortese. Poi, ad un certo punto, un’amica fidata, che intanto ha raggiunto la sposa in casa, porge alla ragazza un foglio con le battute scritte da Sara per lei. E il monologo diventa un dialogo a due, una cosa da cinema, come in una scena di Sedotta e abbandonata, ma con il lieto fine: don Vincenzo ha messo da parte il fucile, Peppino è amato e accolto dai suoceri come un figlio, Agnese non è disonorata e il paese non mormora, ma fa un tifo matto per i due innamorati.
“Pochi giorni fa – ricorda Cappello – ho fatto la serenata a Maria Grazia, da parte di Antonio. Ma in realtà era stato il padre di lei ad avere avuto l’idea, tempo fa, quando era in sala a vedere un mio spettacolo al teatro Cantunera. Per scrivere i versi mi sono ispirata alla storia di questa ragazza: il padre, che era venuto a mancare prima del suo matrimonio, aveva voluto lasciarle in dono un regalo speciale, il valore della memoria e degli affetti più cari che la musica continua ad evocare”.
Perché non è solo il capriccio di una notte di luna, che costa dai 400 ai 500 euro e può durate da 45 minuti a un paio d’ore; né solo il timbro potente di Sara e la sua fantasia che viaggia per inesauribili condotte. “È conservare le radici – dice l’autrice – impedire che si secchino. È un discorso dell’anima, una magia antica che irrompe nel contemporaneo”. E che canta le tempeste del cuore, ma anche la figura femminile, così com’era vista dai poeti dialettali siciliani di due, tre secoli fa, che paragonavo la donna ad un vascello, un diamante. “Io rievoco un mondo che è andato via – sorride Sara – e dimostro che in realtà non è affatto perduto”. È una combattente, la Cappello. Di sé dice di essere “una sopravvissuta”.
Perché – nonostante le mille difficoltà, i soldi che non ci sono, le incertezze di un mestiere che obbliga a dover sempre chiedere, bussare, aspettare, a dispetto di una nobile e coriacea carriera – lei è ancora lì, con il suo ‘pantheon’ di autori che le fanno compagnia, Favara, Vigo, Pitrè, Salomone Marino, le carte, i dischi, la risata verace di una quattro volte nonna che non si arrende. E ha sempre nuove sfide da disputare. I laboratori-spettacoli nelle scuole, dove racconta a bambini e ragazzi le storie incantate dei quartieri popolari e le vicende misteriose dei loro eroi; le visite guidate nei luoghi più affascinanti della vecchia Palermo; la rassegna alla Cantunera, lo spazio dell’associazione “Città dell’arte”, aperto tre anni fa in via Bara all’Olivella con fondi europei, dove presenta i suoi spettacoli e chiama ad esibirsi i colleghi, da ottobre a giugno.
E fa un appello ai wedding planner cittadini, che organizzano matrimoni sontuosi e non badano a spese per accaparrarsi una novità: “Tra un buffet e un servizio fotografico – la butta lì – perché non inserire anche una serenata, alla vigilia delle nozze ? Così facciamo lavorare i nostri artisti, rinnoviamo la tradizione e regaliamo un momento particolare agli sposi”.