Era l’antica residenza dei duchi Oneto di Sperlinga, poi diventata fabbrica di terracotta, ricovero per giovani indigenti e infine istituto penale per minorenni
di Emanuele Drago*

È impensabile immaginare Palermo, facendo esclusivamente ricorso ai quattro mandamenti della città storica. Infatti, dopo l’abbattimento delle mura cinquecentesche si svilupparono a raggiera una serie di rioni, di cui molto spesso ancora oggi chi vi risiede ne disconosce le origini e la storia. Uno di questi quartieri, sviluppatosi nella direttrice nord ovest, è rione Malaspina Palagonia.

Uno dei primi documenti in cui si fa riferimento alla contrada Malaspina è contenuto tra le pergamene del tabulario di San Bartolomeo e risale alla seconda metà del XIV secolo. Se il nome sia riconducibile ad uno dei primi proprietari fondiari che iniziò a edificarvi case, o sia invece piuttosto legato al cronista Saba Malaspina, che al tempo di re Martino scrisse un’opera – Rerum Sicularum Historia – dedicata alla Sicilia, ancora oggi non è dato saperlo con certezza. Da una attenta analisi topografica si evince chiaramente che la contrada, dopo aver avuto inizio da piazza San Francesco, ed essersi dipanata per una stretta e tortuosa viuzza denominata appunto vicolo Malaspina, giungesse in piazza Ottavio Ziino, che era l’ultimo tratto del primo tronco.
Il secondo tronco della via Malaspina, corrispondeva all’attuale via Principe di Palagonia, rientrava in quelli che erano i fondi agricoli degli Oneto duchi di Sperlinga e Palagonia, adiacenti a loro volta ai terreni che possedeva la famiglia Whitaker accanto al canale del torrente Rigano. In origini il quartiere annoverava alcune importanti ville, in primis la villa Valguarnera, in prossimità di piazza Tosti, ma anche le ville Cupane e Lima Mancuso. Tutte quante le ville, nonostante il piano regolatore redatto da Felice Giarrusso lo vietasse, intorno agli anni Cinquanta vennero vendute, espropriate ed abbattute, per far posto a grossi palazzi multipiano che nacquero subito dopo il dopoguerra, molti dei quali divennero sede di assessorati regionali.

Per fortuna da quella smania distruttiva e speculativa si salvarono solo la villa Isnello, ubicata in via Monteverdi, e anche il palazzo che è un po’ il simbolo del quartiere Malaspina Palagonia, ovvero la dimora degli Oneto duchi di Sperlinga. Spesso identificato esclusivamente come sede del carcere minorile – citato tra l’altro nel film “Mery per sempre” di Marco Risi col termine “Rosaspina” – la villa meriterebbe una maggiore attenzione sia da un punto di artistico, sia da un punto di vista architettonico. Si tratta di un’amplissima struttura costituita da due corti collegate tra loro tramite un vestibolo, che a sua volta è sormontato da una guardiola che serviva fin dal Settecento a vigilare sulle vie d’accesso.
Ancora oggi sopra la guardiola è possibile ammirare l’orologio che venne collocato nell’Ottocento e sopra il quale v’è scritto “Il tempo fugge e non ritorna”. L’interno della residenza invece presenta, oltre ad un ampio scalone a due rampe, coperto da volte a botte e cupola, una serie di sale collocate nel primo piano e che si affacciano sul terrazzo balaustrato. Tra le principali sale merita una particolare attenzione il salone Baviera, oggi sede di rappresentanza ma in origine cappella privata della villa. Il salone fu decorato da Vito D’Anna, Gaspare Fumagalli e Francesco Manno, e inoltre possiede un delizioso piccolo portico i cui pilastri facevano parte di un teatrino collocato al Foro Italico.

Però, solo per i primi sessant’anni la struttura ebbe una funzione esclusivamente residenziale, in quanto, tra il 1761 e il 1780, per volontà del quinto duca di Sperlinga Francesco Oneto e Monreale, venne in parte trasformata in fabbrica di terracotta e ceramica. A quanto pare, la passione per la ceramica smaltata il duca l’aveva maturata durante gli anni in cui aveva vissuto a Napoli, dopo aver a lungo ammirato la fabbrica impiantata da Carlo III nella reggia di Capodimonte. Nel 1780, esattamente dopo vent’anni, il figlio del quinto duca, Saverio Oneto Gravina, decise di chiudere la fabbrica di famiglia. Così nel 1835, per un breve periodo il palazzo venne ceduto al governo borbonico che lo utilizzò come ricovero per i giovani mendicanti.
E questo fin quando nel 1839 la villa non venne acquistata dal Senato palermitano per ospitare una succursale dell’Albergo delle povere di corso Calatafimi. Di questa nuova destinazione d’uso si fece promotore Francesco Paolo Gravina, ottavo principe di Palagonia, e sindaco filantropo della città. Poi nel 1933 la villa passò allo Stato e al Ministero di Grazia e Giustizia che decise di destinarlo a sede del Centro per la Giustizia minorile. L’auspicio è che, nonostante la delicata e ammirevole funzione che la villa attualmente svolge, in futuro possa essere resa fruibili alla cittadinanza, magari grazie anche a progetti educativi che prevedano l’inclusione e sensibilizzazione culturale degli stessi giovani minorenni che vi sono detenuti.
*Docente e scrittore
Era l’antica residenza dei duchi Oneto di Sperlinga, poi diventata fabbrica di terracotta, ricovero per giovani indigenti e infine istituto penale per minorenni
di Emanuele Drago*

È impensabile immaginare Palermo, facendo esclusivamente ricorso ai quattro mandamenti della città storica. Infatti, dopo l’abbattimento delle mura cinquecentesche si svilupparono a raggiera una serie di rioni, di cui molto spesso ancora oggi chi vi risiede ne disconosce le origini e la storia. Uno di questi quartieri, sviluppatosi nella direttrice nord ovest, è rione Malaspina Palagonia.

Uno dei primi documenti in cui si fa riferimento alla contrada Malaspina è contenuto tra le pergamene del tabulario di San Bartolomeo e risale alla seconda metà del XIV secolo. Se il nome sia riconducibile ad uno dei primi proprietari fondiari che iniziò a edificarvi case, o sia invece piuttosto legato al cronista Saba Malaspina, che al tempo di re Martino scrisse un’opera – Rerum Sicularum Historia – dedicata alla Sicilia, ancora oggi non è dato saperlo con certezza. Da una attenta analisi topografica si evince chiaramente che la contrada, dopo aver avuto inizio da piazza San Francesco, ed essersi dipanata per una stretta e tortuosa viuzza denominata appunto vicolo Malaspina, giungesse in piazza Ottavio Ziino, che era l’ultimo tratto del primo tronco.
Il secondo tronco della via Malaspina, corrispondeva all’attuale via Principe di Palagonia, rientrava in quelli che erano i fondi agricoli degli Oneto duchi di Sperlinga e Palagonia, adiacenti a loro volta ai terreni che possedeva la famiglia Whitaker accanto al canale del torrente Rigano. In origini il quartiere annoverava alcune importanti ville, in primis la villa Valguarnera, in prossimità di piazza Tosti, ma anche le ville Cupane e Lima Mancuso. Tutte quante le ville, nonostante il piano regolatore redatto da Felice Giarrusso lo vietasse, intorno agli anni Cinquanta vennero vendute, espropriate ed abbattute, per far posto a grossi palazzi multipiano che nacquero subito dopo il dopoguerra, molti dei quali divennero sede di assessorati regionali.

Per fortuna da quella smania distruttiva e speculativa si salvarono solo la villa Isnello, ubicata in via Monteverdi, e anche il palazzo che è un po’ il simbolo del quartiere Malaspina Palagonia, ovvero la dimora degli Oneto duchi di Sperlinga. Spesso identificato esclusivamente come sede del carcere minorile – citato tra l’altro nel film “Mery per sempre” di Marco Risi col termine “Rosaspina” – la villa meriterebbe una maggiore attenzione sia da un punto di artistico, sia da un punto di vista architettonico. Si tratta di un’amplissima struttura costituita da due corti collegate tra loro tramite un vestibolo, che a sua volta è sormontato da una guardiola che serviva fin dal Settecento a vigilare sulle vie d’accesso.
Ancora oggi sopra la guardiola è possibile ammirare l’orologio che venne collocato nell’Ottocento e sopra il quale v’è scritto “Il tempo fugge e non ritorna”. L’interno della residenza invece presenta, oltre ad un ampio scalone a due rampe, coperto da volte a botte e cupola, una serie di sale collocate nel primo piano e che si affacciano sul terrazzo balaustrato. Tra le principali sale merita una particolare attenzione il salone Baviera, oggi sede di rappresentanza ma in origine cappella privata della villa. Il salone fu decorato da Vito D’Anna, Gaspare Fumagalli e Francesco Manno, e inoltre possiede un delizioso piccolo portico i cui pilastri facevano parte di un teatrino collocato al Foro Italico.

Però, solo per i primi sessant’anni la struttura ebbe una funzione esclusivamente residenziale, in quanto, tra il 1761 e il 1780, per volontà del quinto duca di Sperlinga Francesco Oneto e Monreale, venne in parte trasformata in fabbrica di terracotta e ceramica. A quanto pare, la passione per la ceramica smaltata il duca l’aveva maturata durante gli anni in cui aveva vissuto a Napoli, dopo aver a lungo ammirato la fabbrica impiantata da Carlo III nella reggia di Capodimonte. Nel 1780, esattamente dopo vent’anni, il figlio del quinto duca, Saverio Oneto Gravina, decise di chiudere la fabbrica di famiglia. Così nel 1835, per un breve periodo il palazzo venne ceduto al governo borbonico che lo utilizzò come ricovero per i giovani mendicanti.
E questo fin quando nel 1839 la villa non venne acquistata dal Senato palermitano per ospitare una succursale dell’Albergo delle povere di corso Calatafimi. Di questa nuova destinazione d’uso si fece promotore Francesco Paolo Gravina, ottavo principe di Palagonia, e sindaco filantropo della città. Poi nel 1933 la villa passò allo Stato e al Ministero di Grazia e Giustizia che decise di destinarlo a sede del Centro per la Giustizia minorile. L’auspicio è che, nonostante la delicata e ammirevole funzione che la villa attualmente svolge, in futuro possa essere resa fruibili alla cittadinanza, magari grazie anche a progetti educativi che prevedano l’inclusione e sensibilizzazione culturale degli stessi giovani minorenni che vi sono detenuti.
*Docente e scrittore