Le edicole sacre di Agrigento, beni invisibili tra arte e devozione

Alla scoperta dei tanti tabernacoli disseminati tra i vicoli del centro storico, testimonianza di una identità religiosa collettiva e di memorie perdute

di Beniamino Biondi

Se è vero che “Dio è l’invisibile evidente”, secondo le parole di Victor Hugo, si potrebbe per estensione utilizzare questa interpretazione letteraria per il racconto delle edicole sacre, i preziosi tabernacoli del più antico tessuto urbano di Agrigento, che costituiscono piccoli spazi sacri di testimonianza della religiosità popolare. Sono forme di arte minore destinate al conforto di una dimensione soggettiva, e al contempo assolvono al bisogno collettivo di controllare lo spazio della comunità, allo scopo di salvaguardarla dai rischi del mondo esterno.

Una delle edicole votive di Agrigento (foto: Salvatore Indelicato)

In esse campeggia, con maggiore frequenza, l’immagine della Madonna, espressione e simbolo di una protezione di tipo universalistico, in ossequio alla tradizione mariana della Sicilia e ad una più familiare immagine di fecondità simbolica – ma ancora più anticamente al culto della Dea-Mater -, e poi ancora santi artigiani e contadini. Sospese tra opera d’arte ed elemento di arredo urbano, le edicole sacre risultano elementi di grande complessità caratterizzati dalla presenza al loro interno di una immagine sacra, con numerosi varianti di materiali e forma. Il centro storico di Agrigento ne è ricchissimo, e se pure a un’indagine di superficie possono apparire un fenomeno secondario e minore almeno a livello di presenza architettonica ed artistica, alcune di esse risultano di grande pregio e di assoluto valore.

Edicola raffigurante la Madonna col Bambino (foto: Salvatore Indelicato)

Se nei secoli più antichi le edicole sacre garantivano coi loro lumi accesi la sola illuminazione notturna della città, dalla seconda metà dell’Ottocento lo sviluppo edilizio ha comportato, insieme alla trasformazione degli immobili, anche quella delle edicole, intese più come elementi decorativi di facciate che come oggetti artistici autonomi. E però, anche in questo caso, si trattava di realizzazioni coerenti con le architetture, diversamente che ai giorni nostri in cui si assiste – nei casi di devozione – alla mancanza di ogni legame tra le composizioni architettoniche e la struttura delle edicole sacre, in particolare nelle aree periferiche della città laddove spesso appaiono come elementi d’arredo urbano irrelati e fittiziamente decorativi, e in ultima analisi privi di un autentico rapporto con il sacro.

Edicola votiva (foto: Salvatore Indelicato)

Allora è proprio nel cuore antico di Agrigento che le edicole sacre trovano la loro collocazione originaria – come nei quartieri del Rabato e di San Michele, del Duomo e di Santa Maria dei Greci -: poste sui fianchi o agli angoli delle case, resistenti dentro poverissimi cortili o in vicoli appartati, come luoghi di passaggio, hanno il valore di un presidio a tutela della pietà popolare, sacralizzando, anche in termini d’arte elementari e primitivi, una tradizione ricchissima di elementi materiali. E se in alcuni casi risultano ancora oggetto di devozione, più spesso sono malconce e trascurate, in piena rovina e defraudate delle loro immagini sacre, o, peggio, orrendamente recuperate e non più esistenti, e ricostituite quali simulazioni del pittoresco o del tradizionale.

 

Eppure, come un varco tra il mondo sensibile e l’universo insostanziale, le edicole sacre testimoniano la proiezione di un legame profondo tra affetti perduti e memorie presenti, ma anche uno scambio simbolico e devozionale di conquista per l’espressione taumaturgica del potere dei santi, e si pongono – nella loro poetica povertà – come “l’invisibile evidente” del centro storico agrigentino, testimoni muti della fine della relazione fra spazio sociale e spazio individuale, e cioè della fine di una comunità. E se il senso culturale delle edicole sacre è in quell’espressione di soggettivismo assoluto che costringe la verticalità del divino nell’orizzontalità dell’umano, la ricerca di una dimensione personale di senso nella più complessa articolazione del corpo sociale, allora la loro solitudine – nella più tetra solitudine della città – è in quel disincanto del mondo che non demanda più al divino la responsabilità del reale.

Edicola dedicata alla Madonna (foto: Salvatore Indelicato)

Occorre così ammettere che l’uomo ha smarrito lo spazio sacro del mistero, e di ciò è testimonianza non marginale la sconfitta di senso dell’edicola votiva e la sua separazione dal rito privato di devozione, e proprio per questo si pone così il problema del recupero di queste forme primitive e meravigliose di pietà popolare che soprattutto nei giorni delle novene del Natale affermano con la loro mera presenza una identità religiosa collettiva; e se più spesso si tratta di fenomeni di persistenza poetica, col loro carico di simbologia e la loro romantica tradizione, essi tuttavia contribuiscono nobilmente a restituire un senso a uno spazio e a un paesaggio come quello del centro storico di Agrigento, sempre più spesso aggredito dalla cementificazione e da uno spossessamento di memoria.

Fino a che non sia troppo tardi, l’amministrazione civica e la Soprintendenza – di comune intesa – dovrebbero assumersi il compito di un censimento delle edicole sacre, provvedendo essi stessi al restauro delle più pregiate (come avvenuto a Roma e a Napoli) o imponendolo ai proprietari degli immobili, insieme al loro mantenimento, anche ai fini di una rivalutazione come beni culturali non secondari che conferiscono un sicuro valore ai percorsi attraverso l’Agrigento araba e medievale.

(Foto: Salvatore Indelicato)

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