Nel centenario della nascita del grande intellettuale, inaugurata una mostra al Palazzo Reale di Palermo con trenta opere dell’artista saccense
di Antonio Schembri

Tra le tante immagini, fotografiche e in movimento davanti alla macchina da presa, che formano il repertorio documentale su Pier Paolo Pasolini, tra le più intense e note c’è il filmato, girato nell’inverno del 1974, a neanche due anni dalla sua tragica e ancora misteriosa fine, che lo mostra pallido e emaciato nel suo nervoso arrancare durante una monologante passeggiata sulle dune di Sabaudia.

Lo scrittore e poeta, drammaturgo e regista cinematografico, in quella fase al top della celebrità e dell’inquietudine, denunciava con rabbia l’appiattimento culturale e l’imbarbarimento a cui stava conducendo la società dei consumi in un paese uscito dal dopoguerra vent’anni prima, ma non certo libero dal fascismo, che da forma di stato si era velocemente trasformato nel corso degli anni ’60, quelli della rinascita economica, in qualcosa di subdolo, un potere capace di affermare valori falsi e alienanti.
Quelli che avrebbero condotto a ciò che Marx chiamava genocidio delle culture; e che, come l’intellettuale friulano denunciò nel forse più veemente dei suoi Scritti Corsari, “Il vuoto del potere”, meglio conosciuto come “l’articolo delle lucciole”, in Italia hanno assommato all’enorme danno dell’omologazione anche quello di una diffusa distruzione dell’ambiente, dai paesaggi alla qualità dell’aria. E, appunto, della scomparsa degli insetti che di notte, nella fase di corteggiamento prima di accoppiarsi, emettono luce.

Nel panorama culturale italiano la luce di Pasolini continua a brillare: isolata, controversa, sempre scomoda. Fino al ritrovamento del suo cadavere massacrato nel campetto di calcio all’idroscalo di Ostia il 2 novembre del 1975, è stato un uomo costantemente sotto processo, col peso di 33 sentenze di tribunale che hanno provato a tacitare la sua voce sempre in opposizione critica contro le false fedi del suo tempo; destinate a diventare ancora più pervasive in quello attuale.

Nel centenario della sua nascita, che ricorre dallo scorso marzo, sono diverse, in Italia e non solo, le mostre a lui dedicate. Da oggi, al Palazzo Reale di Palermo, ne parte una che lo celebra attraverso altri fermi immagine: sono i dipinti di Franco Accursio Gulino, eclettico artista di Sciacca che nella sua vita di pittore, poeta, filmaker, “dialoga” da decenni con Pasolini, pur senza averlo mai conosciuto di persona. Oltre 30 opere surreali, potenti, intimamente coerenti con l’esempio di vita e il messaggio di libertà dell’intellettuale d’estrazione borghese e ben vestito che, una volta giunto a Roma nel 1950, venne attratto dalle classi umili, dal sottoproletariato delle periferie più derelitte, sia quelle in cui durante il fascismo vennero trasferite le classi povere del centro storico sia i baraccamenti sorti successivamente e abitati da tanti emigranti del centro sud in cerca di fortuna: il “wild side”, lungo il quale Pasolini ha trovato sé stesso e il punto d’osservazione più radicale e spietato suole contraddizioni e le ingiustizie società nazionale.

La mostra, promossa dal Servizio Biblioteca dell’Ars, si intitola “Pasolini Clandestinus”, e sintetizza la fascinazione di Gulino per l’intellettuale eretico e corsaro, diventato coscienza critica del Novecento. “È la prima volta in tutta la mia vita artistica che provo un’emozione così intensa all’inaugurazione di una mia mostra”, ha detto l’artista saccense questa mattina all’inaugurazione. Le opere, la maggior parte realizzate da Gulino nei primi anni duemila, ritraggono Pasolini schiantato su grandi tele che indagano sul suo volto scarnificato e rappresentato in tante tonalità e espressioni: sorridente, livido, ferito oppure come un re, un attore elisabettiano, travestito da Gorgone o abbigliato come una pin-up.

Senza vincoli di sessualità ma sempre con quegli occhi febbrili inconfondibili. Quadri che dialogano con i dipinti e gli stucchi delle due sale del Palazzo Reale, degli ex Presidenti e Pompeiana, in cui sono distribuiti. “Ho approfondito la mia conoscenza di Pasolini attraverso il poeta e drammaturgo Dario Bellezza, che fu un suo caro amico. Attraverso quei dialoghi ho potuto entrare nel senso delle battaglie civili di Pasolini, ma anche nelle sue fragilità, debolezze, solutidini, contraddizioni e paure”, spiega Gulino.

Nel quadro intitolato “Petrolio”, come il romanzo che avrebbe sezionato la società italiana in 2mila pagine ma che Pasolini non riuscì a concludere, rimanendo solo una raccolta di spietati appunti manoscritti, Gulino ne rappresenta il volto sdoppiato: un Pasolini bifronte, una faccia sopra e l’altra sotto, con i suoi occhi che appaiono da una lunga macchia nera. “Questa simboleggia l’illusione della crescita economica che si è voluta far ruotare su un’industrializzazione centrata sugli idrocarburi, mentre le due facce di Pasolini rappresentano la doppia morale che caratterizza la società italiana”, dice l’artista.

Poi c’è il quadro della Crocifissione, al quale l’allestimento della mostra affidato all’architetto Alessandro Fiore, ha riservato una particolare retroilluminazione per esaltarne la bellezza e la potenza evocativa. “È forse l’opera che meglio rappresenta la folgorazione di Franco Accursio Gulino per Pasolini – sottolinea la curatrice della mostra Laura Anello – . Questa scatta con la visione di uno delle pellicole più importanti di Pasolini, ‘La Ricotta’, parte del film a episidi Ro-Go-Pa-G (Rossellini, Godard, Pasolini, Gregoretti), nella quale il regista mette in scena nel 1963 la sua riflessione su Cristo, che svilupperà l’anno successivo con il suo ‘Il Vangelo secondo Matteo’”.

In quel film Pasolini rappresenta il lavoro di un regista interpretato da Orson Wells, uno dei suoi attori e cineasti preferiti, intento a realizzare un kolossal sulla Passione. Ma Pasolini usava anche assoldare come comparse soprattutto la gente del sottoproletariato romano – ripende Anello – “e successe che uno di questi attori improvvisati, proprio quello chiamato a interpretare uno dei due ladroni in croce a fianco di Gesù, dopo essersi abbuffato di cibo, morì davvero sulla croce”.

L’amicizia virtuale che ha unito Gulino a Pasolini, come fratelli di pensiero, si connette alla fascinazione dell’artista saccense a uno dei simboli del suo territorio: Ferdinandea, l’isola che a fine Ottocento sbuca dal mare del Canale di Sicilia e dopo pochi mesi si reimmerge sorniona per prendersi beffa dei potenti del mondo che fanno a gara per conquistarla: come Pasolini. Nella speranza che le lucciole tornino di notte a comparire.