Con i suoi murales colorati e le tipiche “abbanniate” dei venditori, l’antico mercato nel centro storico di Palermo è diventato negli anni sempre più attrattivo e frequentato
di Emanuele Drago*

Camminare in mezzo al ritmo cantilenante delle “abbanniate”, ovvero il tipico vociare dei mercati, per il turista che giunge a Palermo è un vero spasso. E se prima per i turisti il monopolio dei mercati, complice il quadro realizzato da Guttuso, era esercitato dalla Vucciria, con gli anni quello che per grandezza e colori ha acquistato una sempre maggiore attrattiva e notorietà è il mercato di Ballarò, che si trova nel quartiere dell’Albergheria.
Per quanto concerne quest’ultimo, dopo una fase in cui venne denominato Daysin, per la cospicua originaria presenza di ebrei che lavoravano il cordame, a cui poi si aggiunsero dopo il X secoli anche i musulmani, il quartiere fu soggetto a fronteggiare continue e cicliche inondazioni del torrente Kemonia, che insieme ad altre cause endemiche provocò una forte contrazione demografica. Tuttavia, agli inizi del XIII secolo venne ripopolato da Federico II grazie agli esuli deportati dalla città di Certorbe (Enna) e Capizzi. Da allora divenne Albelgaria Centurbi et Capicii, per poi, col passare dei secoli, come nel caso di Caput Seralcadì, essere denominato con la semplice contrazione “Albergaria”.

Per quanto concerne invece l’origine del termine Ballarò, si è dibattuto a lungo quale fosse il motivo, ma in questo caso, complice anche la mancanza di atti e documenti ufficiali, non si è ancora giunti a una soluzione condivisa. C’è chi afferma che derivi da Segel Ballarat, ovvero una piazza del mercato in cui si stanziavano i venditori di specchi. Altri fanno derivare il termine da Balalah, ovvero confusione; fatto davvero singolare se si pensa che per anni si è sempre associato il termine confusione al mercato Vucciria, che invero è un termine che non ha nulla che vedere con la confusione, ma bensì con Bocceria, ovvero il luogo in cui si macellava la carne.
Un’altra interpretazione sembra voglia ricondurre l’origine del termine a Bel Rom, che altro non è che la contrazione del latino bellum romanorum, in ossequio e onore alla nuova dominazione romana. Tra le interpretazioni più plausibili e consolidatesi nel tempo sembra esserci quella che leghi il termine ad una piccola località posta vicino Monreale, denominata Bahlara, da cui provenivano i venditori di frutta che giungevano poi a Palermo.

Ma al di là di quale sia la soluzione in questa intricata storia etimologica, Ballarò non ha ancora perso il suo grande fascino. Il modo più semplice per accedervi dal centro è quello di percorrere la via del Ponticello, a pochi passi da piazza Pretoria, ovviamente non prima di aver visitato l’incredibile chiesa del Gesù e la biblioteca della Casa appartenuta all’ordine dei Gesuiti. Proprio subito dopo la casa, sulla destra, un murales in cui v’e scritto “Ballarò è magia” dà il benvenuto a turisti e passanti.
Superate le “sgarrupate” case, rimaste ancora in piedi grazie a delle squallide strutture in ferro, si giunge presso uno slargo in cui è possibile ammirare una suggestiva torre medievale, la torre di San Nicolò. Mentre la strada posta a destra della piazza conduce in via Porta di Castro – magari passando dal vicolo in cui nacque quel genio fannullone di Giuseppe Balsamo, più noto come conte di Cagliostro – percorrendo invece la strada posta a sinistra ci si immette nel cuore del mercato. Ebbene, quasi a metà del percorso, in mezzo all’odore di fritto e tra i negozietti di spezie e quant’altro, si giunge in una piazzetta con un muro su cui vi sono disegnate alcune pecorelle che camminano tra stelle e cielo. La piazzetta si chiama PR3 e dopo essere stata ripulita dal degrado e dall’immondizia, è stata dedicata al poeta di strada Giuseppe Schiera; uomo arguto e autoironico, che non aveva mai dimenticato le sue umili origini, tanto che amava definirsi “a fabbrica ru pitittu” (“la fabbrica della fame”) ma che era allo stesso tempo capace, grazie alla sua satira tagliente, di mettere in discussione durante il Fascismo il potere costituito.

Insomma, ecco un po’ spiegato il senso di quel murales realizzato dai bambini del quartiere, e a cui è stato dato il nome di “Peppe Senza Suola” (poi diventato anche un libro di Alberto Nicolino e Igor Scalisi Palminteri). Si tratta di un’operazione che ha anticipato i murales realizzati l’anno successivo nel quartiere dallo stesso Scalisi Palminteri. Ma forse il più affascinante di tutti è quello che si trova in piazzetta Mediterraneo (un luogo posto tra via Porta di Castro e via San Nicolò). Il murales ritrae un bimbo su uno sfondo celeste, mentre tiene nelle mani una scatola di cartone con delle verdure che gridano sul silenzioso e ignaro fanciullo. Il messaggio è chiaro: qui a Ballarò anche la merce “abbannia”.
*Docente e scrittore
Con i suoi murales colorati e le tipiche “abbanniate” dei venditori, l’antico mercato nel centro storico di Palermo è diventato negli anni sempre più attrattivo e frequentato
di Emanuele Drago*

Camminare in mezzo al ritmo cantilenante delle “abbanniate”, ovvero il tipico vociare dei mercati, per il turista che giunge a Palermo è un vero spasso. E se prima per i turisti il monopolio dei mercati, complice il quadro realizzato da Guttuso, era esercitato dalla Vucciria, con gli anni quello che per grandezza e colori ha acquistato una sempre maggiore attrattiva e notorietà è il mercato di Ballarò, che si trova nel quartiere dell’Albergheria.
Per quanto concerne quest’ultimo, dopo una fase in cui venne denominato Daysin, per la cospicua originaria presenza di ebrei che lavoravano il cordame, a cui poi si aggiunsero dopo il X secoli anche i musulmani, il quartiere fu soggetto a fronteggiare continue e cicliche inondazioni del torrente Kemonia, che insieme ad altre cause endemiche provocò una forte contrazione demografica. Tuttavia, agli inizi del XIII secolo venne ripopolato da Federico II grazie agli esuli deportati dalla città di Certorbe (Enna) e Capizzi. Da allora divenne Albelgaria Centurbi et Capicii, per poi, col passare dei secoli, come nel caso di Caput Seralcadì, essere denominato con la semplice contrazione “Albergaria”.

Per quanto concerne invece l’origine del termine Ballarò, si è dibattuto a lungo quale fosse il motivo, ma in questo caso, complice anche la mancanza di atti e documenti ufficiali, non si è ancora giunti a una soluzione condivisa. C’è chi afferma che derivi da Segel Ballarat, ovvero una piazza del mercato in cui si stanziavano i venditori di specchi. Altri fanno derivare il termine da Balalah, ovvero confusione; fatto davvero singolare se si pensa che per anni si è sempre associato il termine confusione al mercato Vucciria, che invero è un termine che non ha nulla che vedere con la confusione, ma bensì con Bocceria, ovvero il luogo in cui si macellava la carne.
Un’altra interpretazione sembra voglia ricondurre l’origine del termine a Bel Rom, che altro non è che la contrazione del latino bellum romanorum, in ossequio e onore alla nuova dominazione romana. Tra le interpretazioni più plausibili e consolidatesi nel tempo sembra esserci quella che leghi il termine ad una piccola località posta vicino Monreale, denominata Bahlara, da cui provenivano i venditori di frutta che giungevano poi a Palermo.

Ma al di là di quale sia la soluzione in questa intricata storia etimologica, Ballarò non ha ancora perso il suo grande fascino. Il modo più semplice per accedervi dal centro è quello di percorrere la via del Ponticello, a pochi passi da piazza Pretoria, ovviamente non prima di aver visitato l’incredibile chiesa del Gesù e la biblioteca della Casa appartenuta all’ordine dei Gesuiti. Proprio subito dopo la casa, sulla destra, un murales in cui v’e scritto “Ballarò è magia” dà il benvenuto a turisti e passanti.
Superate le “sgarrupate” case, rimaste ancora in piedi grazie a delle squallide strutture in ferro, si giunge presso uno slargo in cui è possibile ammirare una suggestiva torre medievale, la torre di San Nicolò. Mentre la strada posta a destra della piazza conduce in via Porta di Castro – magari passando dal vicolo in cui nacque quel genio fannullone di Giuseppe Balsamo, più noto come conte di Cagliostro – percorrendo invece la strada posta a sinistra ci si immette nel cuore del mercato. Ebbene, quasi a metà del percorso, in mezzo all’odore di fritto e tra i negozietti di spezie e quant’altro, si giunge in una piazzetta con un muro su cui vi sono disegnate alcune pecorelle che camminano tra stelle e cielo. La piazzetta si chiama PR3 e dopo essere stata ripulita dal degrado e dall’immondizia, è stata dedicata al poeta di strada Giuseppe Schiera; uomo arguto e autoironico, che non aveva mai dimenticato le sue umili origini, tanto che amava definirsi “a fabbrica ru pitittu” (“la fabbrica della fame”) ma che era allo stesso tempo capace, grazie alla sua satira tagliente, di mettere in discussione durante il Fascismo il potere costituito.

Insomma, ecco un po’ spiegato il senso di quel murales realizzato dai bambini del quartiere, e a cui è stato dato il nome di “Peppe Senza Suola” (poi diventato anche un libro di Alberto Nicolino e Igor Scalisi Palminteri). Si tratta di un’operazione che ha anticipato i murales realizzati l’anno successivo nel quartiere dallo stesso Scalisi Palminteri. Ma forse il più affascinante di tutti è quello che si trova in piazzetta Mediterraneo (un luogo posto tra via Porta di Castro e via San Nicolò). Il murales ritrae un bimbo su uno sfondo celeste, mentre tiene nelle mani una scatola di cartone con delle verdure che gridano sul silenzioso e ignaro fanciullo. Il messaggio è chiaro: qui a Ballarò anche la merce “abbannia”.
*Docente e scrittore