È una delle chiese più belle del centro storico di Palermo, la cui facciata domina il mercato di Ballarò. Custodisce capolavori del Serpotta e del Gagini
di Emanuele Drago*

Chi arriva a Palermo dal mare non può certo non notare la presenza sullo sfondo della Conca d’Oro di diverse cupole: quella della Cattedrale, di Santa Caterina d’Alessandria, della chiesa di San Saverio e Sant’Ignazio all’Olivella, della Chiesa del Gesù e quella in maiolica realizzata da Giuseppe Mariani nella chiesa dei Teatini. Ma indubbiamente, tra tutte quelle che dominano la Conca d’Oro, la più affascinante è la cupola della chiesa del Carmine Maggiore, progettata alla fine del XVII secolo da Angelo La Rosa e che si affaccia sull’omonima piazza del grande mercato di Ballarò.

Si tratta di un’opera architettonica la cui bellezza, più che essere legata alla dimensione, sta nel fatto che sia stata realizzata completamente in maiolica smaltata, dando vita a un complesso e vivace disegno diviso in quattro sezioni in cui su ogni spicchio, dentro scaglie di mattonelle verdi e blu, vi è inciso il simbolo dell’ordine dei carmelitani. Della struttura, oltre alla cupola e al lanternino, colpisce l’eleganza del tamburo sottostante, nel quale le figure di quattro talamoni – intervallando quattro eleganti finestre e otto colonne doriche – sembrano volerla sorreggere.

La sua edificazione, come già detto, avvenne alla fine del Seicento, sebbene la presenza dei carmelitani in città risalga al periodo normanno, ovvero quando l’originaria chiesa era collocata in quella che è l’attuale Cappella della Pietà, donata dalla Contessa Adelasia, allora anche regina di Gerusalemme, ai pellegrini che seguivano le tracce del profeta Elia sul monte Carmelo. La originaria chiesa, che in seguito ne inglobò una più ampia dedicata all’Annunziata, aveva la facciata rivolta sul lato opposto della piazza del Carmine.

Ancora oggi è possibile ammirare ciò che resta dell’originaria struttura normanna nella suggestiva volta a crociera le cui vele affrescate convergono tutte in una chiave di volta che ha come simbolo l’agnello. L’attuale chiesa risale al 1626, quando venne riconfigurata in dimensioni più maestose e con la facciata rivolta su piazza Carmine, tra l’altro in una posizione soprelevata rispetto al livello della strada. Tra le opere significative della chiesa, oltre alla cappella della Madonna del Carmine, vanno segnalate le cappelle di Santa Caterina d’Alessandria (statua scolpita da Antonello Gagini) e la cappella della Vergine delle Udienze, realizzata da Domenico Gagini.

Ma ciò che lascia esterrefatti i visitatori sono le Cappelle della Madonna del Carmine e del Santissimo Crocifisso che si trovano ai lati del transetto. Siamo in presenza di due veri capolavori del solito Giacomo Serpotta, il quale, insieme a Giuseppe Serpotta, sembra essersi cimentato in un’altra delle sue innumerevoli imprese creative. Infatti, con queste due opere sembra sia riuscito a plasmare lo stucco in forme volumetriche contenute, ma non per questo meno sbalorditive. Si tratta di due doppie colonne tortili sui cui girali ha narrato la vicenda della nascita dell’ordine carmelitano e la Passione di Cristo; un bianco vortice, un mulinello di fogliame e putti dentro cui, tra le tante rappresentazioni, a un attento osservatore non può certo sfuggire un chiaro omaggio allo Spasimo di Sicilia, dipinto che Raffaello Sanzio aveva realizza due secoli prima.

Tra le altre opere presenti nella chiesa va segnalata la notevole tavola in cui è rappresentata la Madonna del Carmelo (opera di Tommaso de Vigilia) gli eleganti scanni del coro absidale (l’agnello con i sette sigilli) e due tele che raffigurano due celebri carmelitani figli di Sicilia: Sant’Angelo da Licata e Sant’Alberto degli Abbati. A proposito di Sant’Alberto vorremmo sottolineare il forte legame che egli ebbe con la chiesa e col quartiere dell’Albergaria. Figlio di Benedetto Abbate, ammiraglio della flotta di Federico II, si narra che dopo essere partito da Trapani (avrebbe dovuto insediarsi a Messina per volontà degli stessi superiori dell’ordine carmelitano) avesse sostato per alcune notti in questa chiesa, ma anche nella piccola chiesa che poi fu a lui dedicata e che si trova sul lato opposto, accanto al palazzo che fu dei Miano.

Quando questo avvenne erano ormai lontani i tempi in cui acquisì fama di santità, dopo che ebbe liberato la città dello Stretto dall’assedio del Duca di Calabria, ma soprattutto dalla fame, quando riuscì a far transitare alcune navi cariche di vettovaglie tra gli assedianti. Trent’anni dopo la sua morte, avvenuta a Messina il 7 agosto del 1307, il luogo e la cella in cui aveva soggiornato a Palermo venne trasformata prima in cappella e poi in una vera e propria chiesa. Purtroppo, nell’ultimo secolo la chiesa è stata sottoposta a saccheggio, non solo dalle maioliche del pavimento, ma anche di un quadro e di una reliquia del Santo. Ci auguriamo che con la nuova riconfigurazione della piazza se ne possa valorizzare l’importanza storica, sottolineando il forte legame che essa ha da sempre avuto con la chiesa del Carmine Maggiore.
*Docente e scrittore