La cantante folk siciliana fu per un periodo sacrestana e custode di Santa Maria degli Agonizzanti, nel centro storico di Palermo. Giorni travagliati prima di raggiungere Firenze, dove scoprì la propria vocazione artistica
di Emanuele Drago *

È ormai assodato che le chiese di Palermo sono una continua scoperta, non solo per l’arte che custodiscono, ma anche da un punto di vista documentaristico. Accade allora di scoprire che tra le tante chiese che andrebbero visitate con più attenzione c’è la chiesa di Santa Maria degli Agonizzanti, che si trova in via Giovanni da Procida, in quello che anticamente era conosciuto come il quartiere della Guzzetta.

La chiesa fu edificata nel 1630 grazie ai fondi elargiti da alcuni appartenenti alla confraternita di Santa Maria degli Agonizzanti. L’antefatto della nascita della chiesa è legato, a sua volta, alla nascita della stessa compagnia ed ha come data il 1613, l’anno in cui accadde in città un evento che turbò molte coscienze: la condanna alla forca di Francesco Anello da Caccamo. Più che modalità della condanna, a cui i palermitani per la verità sembravano da tempo essersi abituati, fu la forza e la protervia con cui Anello si dichiarava fino alla fine innocente che colpì la cittadinanza intera. Tanto che, dopo la condanna dell’uomo, di cui ancora oggi ne rimane una rappresentazione in un quadro custodito al Museo diocesano, i componenti della compagnia decisero di adoperarsi affinché ogni futuro condannato alla forca potesse essere assistito spiritualmente.
Fu così che, sia i nobili, sia gli ecclesiastici e gli artigiani che avevano aderito alla compagnia, nei tre giorni che precedevano l’esecuzione dei condannati, digiunavano e pregavano. Ma alla chiesa degli Agonizzanti – di cui tra le tante opere custodite segnaliamo gli affreschi di Elisa Interguglielmi sulla zona absidale e le decorazioni di Ignazio Marabitti – è anche legata un’altra storia poco conosciuta. Spulciando tra i documenti della chiesa è stato possibile ricavare la presenza, come sacrestana, di Rosa Balistreri. Sì, proprio la grande cantante folk che divenne famosa per aver scritto e interpretato canzoni popolari siciliane dal tono fortemente drammatico.
Va detto che Rosa arrivò a Palermo dalla sua cittadina d’origine, Licata, in seguito all’interessamento del conte Testa, il quale le aveva offerto un incarico da sacrestana proprio in quella chiesa. Nonostante aveva vissuto a Licata un periodo molto travagliato – era stata per ben due volte in carcere, prima per aver tentato di uccidere il marito, reo a suo dire di aver dilapidato nel gioco le ricchezze di famiglia, e poi in seguito a un furto – Rosa era giunta a Palermo con buoni propositi, tanto che aveva trovato alloggio, assieme al fratello, in un sottoscala adiacente alla chiesa.

Purtroppo, dopo un po’ di tempo, anche a Palermo la sorte era tornata a renderle la vita difficile. Così, dopo aver subito le molestie del nuovo prete, aveva rubato i soldi delle elemosine per poi raggiungere la sorella in Toscana. Per circa un ventennio l’autrice di “Ninna Nanna di la guerra” e “Cu ti lu dissi” visse a Firenze, città che gli fece scoprire la propria vocazione al canto folk. Ma a Firenze Balistreri conobbe e coltivò anche una storia con Manfredi Lombardi, il pittore che gli consentì di debuttare, e fu la prima volta dal vivo, durante una sua mostra antologica a Piombino. E fu grazie all’ambiente degli artisti fiorentini, e in particolare di San Frediano, che la Balistreri conobbe anche Dario Fo, autore e drammaturgo con cui collaborerà in uno spettacolo di canti popolari dal titolo “Ci ragiono e canto”.
Ma il richiamo della Sicilia per Rosa non tardò ad arrivare, tanto che nel 1971 si trasferì nuovamente a Palermo, città in cui iniziò a frequentare Renato Guttuso e Ignazio Buttitta. Da allora furono tante le collaborazioni e gli album che incise, almeno fino a quel fatidico settembre del 1990, anno in cui, in seguito a una emorragia celebrale, morì. Oggi il suo corpo, insieme alla sua dolce e tragica voce, riposano nel cimitero di Trespiano, sulla collina che guarda Fiesole. Lì, accanto alla sua lapide, c’è sempre una rosa rossa a farle compagnia, la stessa rossa che, insieme a una lapide commemorativa, potrebbe ricordarla anche a Palermo; magari non distante dalla chiesa da cui ebbe inizio la sua fortunata fuga.
* Docente e scrittore