C’è il sacrificio della battaglia, il rebus delle iscrizioni e le usanze del quotidiano nei reperti che per anni sono stati custoditi in decine di container a Termini Imerese e che ora saranno trasferiti nei magazzini dell’Albergo delle Povere
di Antonella Lombardi
La ferocia della battaglia è ancora impressa sulle fragili ossa perforate dalle armi e arrivate a noi come reperti, testimonianza ulteriore di quelle pagine scritte da Erodoto e Diodoro Siculo. Himera, avamposto greco a Nord della Sicilia occidentale, sorgeva in quello che oggi è un luogo trasfigurato dall’autostrada e dalla ferrovia, non molto distante dall’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese. Un sito dall’importanza strategica che ha rivelato con la sua vasta necropoli usanze, abitudini e massacri consumati nei due grandi scontri tra Greci e Cartaginesi. Ora quei reperti archeologici, conservati per anni in decine di container di Termini Imerese, saranno trasferiti nei magazzini dell’Albergo delle povere, a Palermo.
“L’auspicio è che presto si possa allestire un’esposizione a Palermo per aprire al pubblico questi tesori e farli conoscere in attesa del loro ritorno al sito di provenienza in una sede stabile”, spiega Francesca Spatafora, a capo del polo museale regionale. Con un’esperienza pregressa da direttrice del parco archeologico di Himera, Spatafora ha anche seguito i lavori che portarono alla luce quei reperti: “Alcuni dei ritrovamenti più curiosi sono già esposti al museo Pirro Marconi di Termini Imerese, all’interno dell’area archeologica di Imera. Ma ci sono ancora tanti misteri da chiarire”.
Perché in questa pianura che lambiva un fiume navigabile come l’Imera, Greci e Cartaginesi hanno dato il via a due feroci assedi: il primo nel 480 avanti Cristo, quando a vincere sono i Greci, e il secondo del 409, con un epilogo finale che vede stavolta trionfare i Punici, e con un prezzo altissimo per gli abitanti della colonia. Soltanto alcuni anni un gruppo di superstiti riuscirà a fondare, insieme agli stessi Cartaginesi, Thermai Himeraiai, cioè l’attuale Termini Imerese.
Storie emerse per caso, durante i lavori del raddoppio ferroviario della Palermo – Messina con una campagna di scavi durata anni alla quale ha contribuito Rfi e con una quantità di sepolture e resti archeologici emersi di grande rilievo: “Si tratta di circa 20mila reperti e quasi 10mila sepolture – ricostruisce Spatafora – alcune di cavalli, un’usanza non comune alle necropoli greche, per cui abbiamo ipotizzato dalle fonti a disposizione che si potesse trattare della famosa cavalleria di Gelone, tiranno di Siracusa”.
Circa il 40 per cento delle tombe ha poi restituito corredi funebri che raccontano lo stile di vita ma anche usanze a noi ancora sconosciute, come racconta la direttrice: “Accanto ai tipici vasi e guttus, cioè sorta di biberon di terracotta utilizzati per i bambini e caratteristici dei corredi funerari dei piccoli, ci sono delle tavolette con iscrizioni misteriose – racconta – sono le Defixiones, scritte su lamina di piombo con delle vere e proprie maledizioni, erano dirette a delle persone alle quali si voleva del male e venivano così affidate al mondo degli inferi. Non sappiamo ancora molto, ne conosciamo alcune dai ritrovamenti di Selinunte, ci sono degli studi in corso”.
Un patrimonio immenso, fatto di tesori in parte ancora negati, e che si spera presto potrà essere decifrato e condiviso.
C’è il sacrificio della battaglia, il rebus delle iscrizioni e le usanze del quotidiano nei reperti che per anni sono stati custoditi in decine di container a Termini Imerese e che ora saranno trasferiti nei magazzini dell’Albergo delle Povere
di Antonella Lombardi
La ferocia della battaglia è ancora impressa sulle fragili ossa perforate dalle armi e arrivate a noi come reperti, testimonianza ulteriore di quelle pagine scritte da Erodoto e Diodoro Siculo. Himera, avamposto greco a Nord della Sicilia occidentale, sorgeva in quello che oggi è un luogo trasfigurato dall’autostrada e dalla ferrovia, non molto distante dall’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese. Un sito dall’importanza strategica che ha rivelato con la sua vasta necropoli usanze, abitudini e massacri consumati nei due grandi scontri tra Greci e Cartaginesi. Ora quei reperti archeologici, conservati per anni in decine di container di Termini Imerese, saranno trasferiti nei magazzini dell’Albergo delle povere, a Palermo.
“L’auspicio è che presto si possa allestire un’esposizione a Palermo per aprire al pubblico questi tesori e farli conoscere in attesa del loro ritorno al sito di provenienza in una sede stabile”, spiega Francesca Spatafora, a capo del polo museale regionale. Con un’esperienza pregressa da direttrice del parco archeologico di Himera, Spatafora ha anche seguito i lavori che portarono alla luce quei reperti: “Alcuni dei ritrovamenti più curiosi sono già esposti al museo Pirro Marconi di Termini Imerese, all’interno dell’area archeologica di Imera. Ma ci sono ancora tanti misteri da chiarire”.
Perché in questa pianura che lambiva un fiume navigabile come l’Imera, Greci e Cartaginesi hanno dato il via a due feroci assedi: il primo nel 480 avanti Cristo, quando a vincere sono i Greci, e il secondo del 409, con un epilogo finale che vede stavolta trionfare i Punici, e con un prezzo altissimo per gli abitanti della colonia. Soltanto alcuni anni un gruppo di superstiti riuscirà a fondare, insieme agli stessi Cartaginesi, Thermai Himeraiai, cioè l’attuale Termini Imerese.
Storie emerse per caso, durante i lavori del raddoppio ferroviario della Palermo – Messina con una campagna di scavi durata anni alla quale ha contribuito Rfi e con una quantità di sepolture e resti archeologici emersi di grande rilievo: “Si tratta di circa 20mila reperti e quasi 10mila sepolture – ricostruisce Spatafora – alcune di cavalli, un’usanza non comune alle necropoli greche, per cui abbiamo ipotizzato dalle fonti a disposizione che si potesse trattare della famosa cavalleria di Gelone, tiranno di Siracusa”.
Circa il 40 per cento delle tombe ha poi restituito corredi funebri che raccontano lo stile di vita ma anche usanze a noi ancora sconosciute, come racconta la direttrice: “Accanto ai tipici vasi e guttus, cioè sorta di biberon di terracotta utilizzati per i bambini e caratteristici dei corredi funerari dei piccoli, ci sono delle tavolette con iscrizioni misteriose – racconta – sono le Defixiones, scritte su lamina di piombo con delle vere e proprie maledizioni, erano dirette a delle persone alle quali si voleva del male e venivano così affidate al mondo degli inferi. Non sappiamo ancora molto, ne conosciamo alcune dai ritrovamenti di Selinunte, ci sono degli studi in corso”.
Un patrimonio immenso, fatto di tesori in parte ancora negati, e che si spera presto potrà essere decifrato e condiviso.