I misteri delle mummie scomparse

Fra Palermo, Ragusa, Novara di Sicilia, negli ultimi 40 anni sono stati frequenti i furti per i più vari motivi. E c’è chi ha dovuto trasformarsi in Sherlock Holmes per cercarle

di Federica Certa

Vandalismo, furti di soppiatto, trasferimenti indebiti. Un patrimonio unico al mondo, per quantità e tradizione, quello delle mummie siciliane – da Palermo a Novara di Sicilia, da Savoca a Santa Lucia del Mela, da Gangi a Piraino – che per decenni è stato alla mercé di studiosi fin troppo zelanti, custodi e amministratori distratti.

Il caso più eclatante risale al 1987. Dalla cappella mortuaria della chiesa dei Cappuccini di Comiso sparisce la testa di una mummia del XVIII secolo. Nessuno ne sa niente, fino a quando l’antropologo e mummiologo Dario Piombino-Mascali, dal 2011 ispettore onorario in materia di patrimonio bioantropologico mummificato siciliano – ricostruisce la vicenda e individua la nuova collocazione nel museo di anatomia patologica dell’Università di Pisa. Un professore l’aveva prelevata per motivi di studio e da allora mai più restituita. Il cranio mummificato non si trova, il museo viene spostato e inglobato con quello di Storia naturale, devono passare 29 anni per riavere indietro la testa, grazie all’intervento dello stesso Piombino e della Soprintendenza ai Beni culturali di Ragusa. E insieme alla testa di Comiso, Piombino recupera un altro reperto scomparso, un cranio sottratto nel 2004 dalle catacombe di Savoca, tornato a “casa” dopo oltre dieci anni di esilio.

Fu un colpo grosso quello del medico francese che prese 70 teste dalla chiesa madre di Randazzo. Intenzioni più che nobili – esigenze di ricerca accademica – e la placida complicità di autorità locali gli facilitarono le cose. Fino a quando Piombino segnalò le irregolarità alla Regione. Ma riprendersele non fu altrettanto semplice: il ministero dei beni culturali faceva spallucce, e solo dopo alcuni anni lo studioso d’Oltralpe tornò sui suoi passi e rispedì le teste in Sicilia, a bordo di un vagone ferroviario.

Poi ci sono i buontemponi, turisti con il gusto della dissacrazione a tutti i costi o devoti dal fervore esagerato. Così le mummie di Savoca sono state prese di mira da vandali armati di pennello e vernice verde. E ci sono voluti anni per ripulirle. Mentre le catacombe dei Cappuccini di Palermo sono state colpite da vari incendi dolosi, e le mummie sbeffeggiate con una grottesca sigaretta in bocca per l’immancabile foto ricordo.

Niente in confronto al curioso “trattamento” riservato al corpo mummificato della giovane Angelina, morta forse suicida per un amore ostracizzato, imbalsamata nel 1911 e deposta nella cappella di famiglia nel cimitero monumentale di Catania. La devozione popolare la venerava come una santa, portando in dono fiori, bambole e candele, ma un povero squinternato arrivò addirittura a farle lo shampoo – rigorosamente a secco – per esaudire una presunta richiesta della ragazza, apparsa in sogno.

E in fatto di stranezze non può non apparire se non altro singolare l’inclemente fine di Alfredo Salafia, il principe degli imbalsamatori: “Per lui – racconta Piombino – ci fu solo una ordinaria sepoltura nel cimitero di Santa Maria di Gesù. Ma quando, nel 2000, si procedette allo spurgo, i resti, a contatto con l’aria, si polverizzarono”. Forse un batterio, ma certo – ammette lo studioso – si è verificata un’eventualità piuttosto rara: “Davvero un perfetto contrappasso dantesco”.

Fra Palermo, Ragusa, Novara di Sicilia, negli ultimi 40 anni sono stati frequenti i furti per i più vari motivi. E c’è chi ha dovuto trasformarsi in Sherlock Holmes per cercarle

di Federica Certa

Vandalismo, furti di soppiatto, trasferimenti indebiti. Un patrimonio unico al mondo, per quantità e tradizione, quello delle mummie siciliane – da Palermo a Novara di Sicilia, da Savoca a Santa Lucia del Mela, da Gangi a Piraino – che per decenni è stato alla mercé di studiosi fin troppo zelanti, custodi e amministratori distratti.

Il caso più eclatante risale al 1987. Dalla cappella mortuaria della chiesa dei Cappuccini di Comiso sparisce la testa di una mummia del XVIII secolo. Nessuno ne sa niente, fino a quando l’antropologo e mummiologo Dario Piombino-Mascali, dal 2011 ispettore onorario in materia di patrimonio bioantropologico mummificato siciliano – ricostruisce la vicenda e individua la nuova collocazione nel museo di anatomia patologica dell’Università di Pisa. Un professore l’aveva prelevata per motivi di studio e da allora mai più restituita. Il cranio mummificato non si trova, il museo viene spostato e inglobato con quello di Storia naturale, devono passare 29 anni per riavere indietro la testa, grazie all’intervento dello stesso Piombino e della Soprintendenza ai Beni culturali di Ragusa. E insieme alla testa di Comiso, Piombino recupera un altro reperto scomparso, un cranio sottratto nel 2004 dalle catacombe di Savoca, tornato a “casa” dopo oltre dieci anni di esilio.

Fu un colpo grosso quello del medico francese che prese 70 teste dalla chiesa madre di Randazzo. Intenzioni più che nobili – esigenze di ricerca accademica – e la placida complicità di autorità locali gli facilitarono le cose. Fino a quando Piombino segnalò le irregolarità alla Regione. Ma riprendersele non fu altrettanto semplice: il ministero dei beni culturali faceva spallucce, e solo dopo alcuni anni lo studioso d’Oltralpe tornò sui suoi passi e rispedì le teste in Sicilia, a bordo di un vagone ferroviario.

Poi ci sono i buontemponi, turisti con il gusto della dissacrazione a tutti i costi o devoti dal fervore esagerato. Così le mummie di Savoca sono state prese di mira da vandali armati di pennello e vernice verde. E ci sono voluti anni per ripulirle. Mentre le catacombe dei Cappuccini di Palermo sono state colpite da vari incendi dolosi, e le mummie sbeffeggiate con una grottesca sigaretta in bocca per l’immancabile foto ricordo.

Niente in confronto al curioso “trattamento” riservato al corpo mummificato della giovane Angelina, morta forse suicida per un amore ostracizzato, imbalsamata nel 1911 e deposta nella cappella di famiglia nel cimitero monumentale di Catania. La devozione popolare la venerava come una santa, portando in dono fiori, bambole e candele, ma un povero squinternato arrivò addirittura a farle lo shampoo – rigorosamente a secco – per esaudire una presunta richiesta della ragazza, apparsa in sogno.

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