Secondo l’agronomo Giuseppe Barbera il grande albero che si è abbattuto tra viale delle Magnolie e viale Boris Giuliano, nel cuore di una delle zone residenziali della città, sorgeva su una striscia di marciapiede troppo stretta
di Guido Fiorito

Non potrà lasciare “tutti i semi a voi, poveri uccelli”, come l’albero morto cantato da Trilussa. Né sarà più “la culla della Luna, né il magico riso della brezza”, come il pioppo caduto celebrato da Garcia Lorca. I possenti rami del ficus macrophylla, che si è abbattuto a Palermo sul selciato, all’angolo tra viale delle Magnolie e viale Boris Giuliano, sono stati tagliati pezzo dopo pezzo: dietro la corteccia ruvida e bigia, emerge, nella catasta di rami e tronchi, il legno chiaro.

Nessuna vittima, ma paura e danni. L’albero si è schiantato distruggendo un paio di macchine, con persone all’interno salve per miracolo. Strade chiuse e clacson all’impazzata di automobilisti bloccati. Non circola più linfa, non circola più il traffico. Molte ore per rimuovere il ficus. La passerella in metallo verde per difendere i pedoni è contorta, spezzata dal terribile peso del gigante.

La natura e la città, un rapporto difficile. Sin dal principio. Il viale dove furono piantate le magnolie sorgeva esternamente al confine con il paradisiaco giardino dei Whitaker nel Firriato di Sperlinga. Di quest’ultimo rimane poco: la casa liberty del custode in via Giusti, la Cuba, la Montagnola, e un albero monumentale in viale Scaduto. Nel dopoguerra, grazie anche alla devastazione di un incendio, l’area è stata lottizzata per costruire palazzi in cambio di uno spazio divenuto pubblico, l’attuale Villa Sperlinga. Oggi viale delle Magnolie ospita sedici ficus, anzi adesso sono quindici, a bordo dei palazzi. Da uno di essi si era staccato un grosso ramo appena il 3 gennaio scorso.

“In effetti – dice Giuseppe Barbera, accademico di culture arboree e storico dei giardini mediterranei – si tratta di una morte annunciata. Quest’albero sorgeva su una striscia di marciapiede troppo stretta. Gli altri, che ricadono in giardini privati, godono di un po’ più di spazio e comunque la convivenza tra questi alberi e i palazzi è difficile, tanto che non vengono da tempo più piantati nelle città. Trapiantarlo? Non è possibile. Il punto è che bisogna avere un approccio laico con il verde cittadino, senza sacralizzare un singolo albero. Per esempio, una buona risposta è per quest’albero morto piantarne altri cento ma in spazi ampi e di altre specie, in modo che possano svilupparsi senza far danno”.

Barbera è per una terza via tra un ecologismo integralista e l’incuria del verde pubblico. “C’è nella gestione del verde – prosegue Barbera – un timore di intervenire con potature intense degli alberi perché subito si levano furiose proteste. Palermo è una città ricca di giardini, dagli arabi fino ad oggi, ciascuno ha lasciato la sua impronta anche nel verde. Ci sono tanti alberi tropicali, è ricca di biodiversità. Un patrimonio immenso da difendere e a volte bisogna fare delle scelte”.
“I marciapiedi della città – spiega l’agronomo – sono distrutti da specie di alberi che non andavano piantati. Queste piante andrebbero sostituite. La Favorita attende ancora di essere valorizzata, non si può ridurre tutto al dibattito se chiudere la strada alle auto o no. Speriamo almeno che le risorse destinate dal Pnrr al Giardino inglese siano bene spese”.

L’assessore comunale alle Politiche ambientali, Andrea Mineo, indica nel maltempo la causa del crollo. “Negli ultimi due anni sono stati effettuati interventi di sfoltimento ma soprattutto il Visual tree assessment (Vta), un esame diagnostico mirato a verificare le condizioni di stabilità e salubrità dell’albero che, essendo inserito fra quelli monumentali, è stato costantemente monitorato nel tempo”.
Poi emerge un’altra causa: “Pare esserci in profondità, non rilevabile con le strumentazioni e le tecnologie a disposizione, un ammaloramento nella sezione centrale dovuto all’età dell’albero”. E, stando a quanto dicono esperti del Comune intervenuti sul luogo, il cedimento strutturale parte “a livello radicale, probabilmente dovuto a tagli di radici pregressi, effettuati decenni fa”.