Da Vittorio Emanuele II a Giuseppe Garibaldi, ogni scultura nasconde simboli e storie che raccontano eventi e personaggi legati alla città
di Emanuele Drago*

Non sono molte le statue equestri che abbelliscono le piazze di Palermo, eppure, a ognuna di esse, è legato un aneddoto o una qualche particolarità che una volta appresa rimane certamente impressa nella mente di chi, per una qualche ragione, vi passa vicino. La prima statua equestre a cui facciamo riferimento è quella che si trova in piazza Giulio Cesare e che venne collocata all’indomani dell’Unità d’Italia, proprio di fronte alla nuova stazione centrale di Palermo. La statua, realizzata da Benedetto Civiletti, ritrae Vittorio Emanuele II a cavallo sopra un grosso cippo in marmo, sui cui angoli sono scolpite quattro grosse aquile. Sembra che il cavallo si chiamasse Omar e che fosse stato regalato al sovrano da un illustre nobile siciliano durante il suo arrivo a Palermo; inoltre, quando dopo tanti anni il povero destriero morì, il sovrano si premurò di far pervenire da Torino – e di restituire al nobiluomo – gli zoccoli ferrati di Omar sotto forma di calamai.

Ma in città c’è anche un’altra statua equestre in cui è, invece, ritratto l’eroe dei due mondi, il generale Giuseppe Garibaldi, e si trova all’interno di Villa Falcone Morvillo, in quel giardino (chiamato anche parterre Garibaldi) che una tempo fu parte integrante – prima che venisse aperto il secondo troncone del viale della Libertà – del Giardino Inglese. Il fascino di questa statua equestre di eccelsa fattura, realizzata dallo scultore Vincenzo Ragusa, non è solo legato al fatto che ha fa da sfondo alla chiesa di Santa Rosalia, che dà su via Marchese Ugo e che è una delle ultime importanti opere – soprattutto per la pregevole cupola in maiolica – realizzata dall’architetto Ernesto Basile; ma anche per via del possente e plastico leone in bronzo che si trova collocato ai piedi della stessa statua.

Va ricordato che questo, dopo i leoni che delimitano la scalinata del Teatro Massimo, è il terzo leone che venne realizzato per i monumenti della città; un suggestivo felino che completa la fantastica triade Civiletti, Rutelli e Ragusa (a cui spetta l’insolito primato di aver realizzato ognuno di essi almeno un felino per la città). Un felino le cui fauci sono intente a spezzare le possenti catene che simboleggiano la tirannia borbonica, ma anche una chiara allusione al leone di Caprera. L’opera venne collocata sul parterre il 27 maggio del 1892, a dieci anni esatti dalla morte dello stesso Garibaldi. In conclusione, va detto che i leoni per la città Palermo sono sempre stati forieri di benessere, prestigio e prosperità: ad esempio, il leone fu il simbolo con cui amava rappresentarsi la dinastia dei normanni, ma anche il simbolo che venne adottato dai Florio, sebbene, raffigurato, a partire dall’insegna dell’aromateria di via Materassai, mentre si nutre della corteccia dell’albero di china. Oggi è possibile ammirare una rappresentazione di questo illustre leone, sebbene in condizioni davvero deprecabili, davanti alla cappella della famiglia Florio, nel cimitero monumentale di Santa Maria di Gesù.

Infine, c’è un leone che accomuna l’immaginario del popolo palermitano: quel “Chico Portobello” che tutti i bambini correvano ad ammirare dentro la gabbia che si trovava all’interno della Villa Giulia e che avevano finito per ribattezzare come “il leone Ciccio”. Anche per questo leone, qualcuno, quasi provocatoriamente, un paio di anni fa auspicava, come solenne omaggio, la realizzazione di una statua; ma questa è un’altra storia.
*Docente e scrittore