Consegnato il progetto di restauro della dimora settecentesca del centro storico di Palermo, da anni in abbandono. Ospiterà appartamenti privati, ma anche spazi culturali espositivi all’interno e all’esterno
di Giulio Giallombardo

Macerie e rinascita. Cancellare gli sfregi delle bombe e dell’abbandono che ancora oggi sono lame conficcate nel ventre di Palermo, risanandone le ferite. L’odissea del settecentesco Palazzo Sammartino di via Lungarini si appresta a diventare paradigma e storia di una riqualificazione partecipata. Dopo aste andate a vuoto e manifestazioni di interesse ignorate, una cordata di 18 persone decide di fare squadra, acquistando ciò che resta dello storico edificio di proprietà comunale nel centro storico della città.

Adesso è pronto il progetto di restauro, che trasformerà quello che attualmente è un rudere, in un palazzo di tremila metri quadrati con 17 unità immobiliari, ma che diventerà anche un luogo aperto alla città, con uno spazio museale interno, al pianterreno, dedicato alle tradizioni popolari siciliane e un’area esterna destinata a ospitare opere d’arte contemporanea.

Risale a poco prima della pandemia la “fumata bianca” con la proposta di acquisto ricevuta dal Comune, per poco meno di 1,2 milioni di euro, dopo due aste pubbliche ed una trattativa privata con gara che erano andate deserte. Dopo la proposta, non avendo ricevuto altre offerte al rialzo, l’amministrazione comunale ha potuto finalmente procedere con l’alienazione del bene, dichiarato di interesse culturale dalla Soprintendenza di Palermo. Ad acquistare il palazzo, venduto con un ribasso minimo rispetto alla cifra richiesta dal Comune, un gruppo di professionisti, tra cui medici, avvocati, architetti, ricercatori, molti dei quali giovani che hanno deciso di investire nel centro storico. Trascorsi poco più due anni dalla vendita, è stato presentato il progetto di restauro del palazzo al Comune e alla Soprintendenza e dopo il via libera, i lavori – che saranno realizzati usufruendo del sisma bonus – potranno finalmente iniziare, probabilmente già entro la fine di quest’anno.

Un progetto, per certi versi, visionario, che reinventa quasi interamente il palazzo, gioiello architettonico del Settecento appartenuto alla famiglia Migliaccio di Malvagna e al duca di Montalbo San Martino di Remondetta, che custodiva una sfarzosa sala da ballo dallo stile classicheggiante, oggi andata completamente distrutta, come quasi tutto l’edificio. A immaginare come sarà il “nuovo” Palazzo Sammartino sono stati i professionisti di Ovrll (si legge “overall”) studio associato con sede a Londra e Palermo. Il progetto – realizzato dagli architetti Maria Gabriella Tumminelli, Maria Costanza Gelardi, Giuseppe Gelardi e dall’ingegnere Riccardo Pane – prevede un lavoro di recupero degli elementi di pregio ancora esistenti e di ricostruzione delle parti distrutte dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, sempre nel rispetto dei materiali tradizionali e delle cromie originarie.

Il palazzo da anni collassa su se stesso. In alcuni ambienti del pianterreno, affacciati su via Lungarini, era stata ricavata addirittura un’autofficina, mentre sembra che il palazzo in passato fosse diventato anche casa a luci rosse. All’esterno la facciata su via Lungarini è ormai del tutto priva del suo intonaco originario. Resistono soltanto il grande balcone settecentesco con la ringhiera a petto d’oca, sorretto da tre mensole in calcarenite, aggredite dall’umidità e dalle infiltrazioni, come buona parte del prospetto. All’interno, la parte posteriore del palazzo non esiste più, le bombe e l’incuria hanno distrutto tutto. Diversi solai non hanno retto e i tetti originari sono crollati, sostituiti da coperture provvisorie in lamiera fatte installare dall’amministrazione comunale, a cui si devono anche alcuni interventi di messa in sicurezza. Dello splendore di un tempo, resta solo la corte interna, il portale con bugne lavorate a spina di pesce e alcuni frammenti degli ornati in stucco di porte e finestre.
Ma tra pochi anni, il palazzo rinascerà dalle sue ceneri. “Ci sono ancora elementi significativi che conserveremo – spiega Maria Gabriella Tumminelli – come ad esempio alcuni decori in stucco presenti nella corte che ridisegneremo. Il nostro obiettivo principale è quello di mantenere il più possibile le spazialità dell’edificio settecentesco, soprattutto nel piano nobile. L’idea è quella di progettare partendo dalla conoscenza del manufatto così come era, per reinterpretarlo in chiave contemporanea, ma utilizzando materiali che appartengono alla nostra storia”.

Sarà uno spazio in cui sfera privata e fruizione pubblica convivranno insieme. Perché, se al primo e secondo piano saranno ricavati gli appartamenti, il pianterreno ospiterà uno spazio museale dedicato alle tradizioni popolari siciliane, gestito dall’associazione Tan Panormi. Nei locali dove si trovava la cavallerizza del palazzo sarà esposta una collezione di carretti siciliani storici di Ottocento e Novecento, ma ci sarà spazio anche per una biblioteca tematica e per una stanza immersiva, dove riecheggeranno canti e suoni della tradizione.

Una vera e propria galleria museale a cui si aggiungerà un altro spazio culturale nella parte esterna. I bombardamenti hanno lasciato a vista tracce di vita domestica in quello che un tempo era un edificio adiacente alla parte posteriore del palazzo, dove ancora sono visibili tracce di un camino e gli intonaci interni. “Oggi si presenta come uno spazio non definito, – aggiunge Giuseppe Gelardi – noi abbiamo pensato di liberare l’area facendone una piccola piazza da destinare a opere d’arte contemporanea. Uno spazio aperto alla città dove poter allestire mostre, incontri e, perché no, anche una biennale d’arte. A volte è lo stesso sito che ci suggerisce quale è la migliore destinazione, basta drizzare le antenne e accogliere questi segnali che la città ci manda”. Inoltre, l’idea dei progettisti, in accordo con i proprietari, è di aprire il cantiere di restauro alla città, con visite aperte a studenti, cittadini e turisti, nel rispetto delle norme di sicurezza.

Ma il recupero di Palazzo Sammartino, consentirebbe anche la riapertura di vicolo Di Blasi, sul fronte laterale accanto a Palazzo Rostagno, sede dell’Avvocatura comunale. Una piccola stradina, attualmente chiusa da un cancello, e più in fondo da un muro, che diventerà un attraversamento pedonale collegato allo spazio culturale esterno. “È un luogo molto affascinante – sottolinea Riccardo Pane – su questo fronte, attraverso i segni ancora presenti sulle mura, si possono ancora leggere le vicende storiche del palazzo, dal Medioevo ai nostri giorni. Vorremmo mantenere in vista il paramento murario in calcarenite e valorizzare gli elementi di pregio, come una porzione di muratura con un arco di origine medievale tuttora leggibile”.

A valorizzare forme e rilievi delle ore serali e notturne – secondo l’idea dei progettisti – sarà una speciale illuminazione sul prospetto principale su via Lungarini e su quello laterale in vicolo Di Blasi, realizzata con la consulenza dell’architetto Francesco Pitruzzella. La facciata del palazzo sarà illuminata con una “luce in transizione”, che cambierà con il passare delle ore. Il progetto prevede l’utilizzo di apparecchi di illuminazione per esterni realizzati in policarbonato trasparente con trattamento per raggi ultravioletti e che saranno regolati da un sistema integrato di gestione elettronica. “I tre stadi, luce del tramonto, luce della luna e luce dell’alba, – spiegano i progettisti – simulano idealmente la luce naturale come se essa attraversasse i confini fisici dell’involucro edilizio per manifestarsi attraverso le bucature delle finestre, la forza della luce coincide con l’approssimarsi al suo spegnersi. In questo confine tra luminosità e oscurità prende forma l’architettura. Si ragiona per positivo e negativo: l’ombra è il vuoto e il pieno della luce”.
(Foto Giulio Giallombardo)