Era un tempo la dimora dei Papè, principi di Valdina, un edificio sfarzoso nel cuore di Palermo, che custodiva all’interno anche una chiesa normanna
di Emanuele Drago*

C’è ancora un rudere che sembra non voler abbandonare il centro storico di Palermo e che lascia i turisti, ogni volta che vi passano accanto, interdetti. Stiamo parlando di ciò che resta del palazzo Papè Valdina, una dimora che si trova sul Cassaro, appena oltre palazzo Castrone e che in origine possedeva un elegantissimo piano nobile. La nascita del palazzo risale al XV secolo, quando la proprietà di un certo Nicolò Leonforte venne aggregata alla chiesa di San Tommaso Cautauriense. Poi, dopo essere passata al Barone di Fiumesalato, pervenne ai Valdina che provvidero a restaurarlo.

Cristoforo Papè Valdina (e poi il figlio Ugo e il nipote Giuseppe) acquistò la prestigiosa carica di Protonotaro del Regno, ovvero una importantissima funzione che lo pose a capo dei notai della Cancelleria Regia. Prima dello scempio prodotto dalla Seconda guerra mondiale, durante la quale una bomba lo distrusse, il palazzo possedeva nella volta dell’ampio salone alcuni affreschi realizzati dal pittore Antonio Manno. Ma altre stanze erano una sala rossa, chiamata anche stanza del re; una sala completamente addobbata con vasi di Sperlinga; un salone da ballo rivestito con tappezzerie di seta gialla e oro zecchino e un’ampia pinacoteca.
Il palazzo era anche conosciuto per via di una piccola chiesa che si trovava sul retro; una chiesa normanna dedicata a San Tommaso di Canterbury. Sembra infatti che, in seguito dell’assassinio del Santo, ordinato dal re Enrico II Plantageneto, molti seguaci e parenti furono costretti a lasciare l’Inghilterra, trovando ospitalità nella Palermo normanna. Qualche anno dopo, in seguito alla diffusione del culto del Santo, la regina Giovanna si fece promotrice e protettrice dei suoi compatrioti: fu in quel contesto che nel 1173 i profughi inglesi promossero l’edificazione della chiesa.

Ma la strada del Protonotaro del Regno, un tempo conosciuta come “Ruga di la Djmonia”, oltre a conservare ancora oggi tracce delle bifore medievali dell’Ospizio Grande in cui abitava la famiglia Artale, presenta proprio all’inizio, su uno spigolo, ad angolo con via Vittorio Emanuele, una statuetta in cui è raffigurato un Cristo con sotto un imprecisato stemma gentilizio. La statuetta, a quanto pare, essere sarebbe stata collocata come gesto di devozione compiuto dalle famiglie della prestigiosa strada, appunto gli Artale.
*Docente e scrittore