Torna fruibile il complesso di architettura araba del Palermitano che ospita una mostra fotografica dedicata ai tesori del territorio. Una visita che si completa con la salita al castello, riaperto dai giovani volontari
di Maria Laura Crescimanno

Riaprono al pubblico, dopo l’anteprima per il Festival Le Vie dei Tesori, le Terme di Cefalà Diana, gioiello di architettura araba in provincia di Palermo, e lo fanno raccontando il territorio con una mostra fotografica davvero sorprendente. “Terre da Amare”, inaugurata il 6 novembre, espone ventidue immagini scattate in cinque anni dal fotografo di Cefalà Diana, Filippo Barbaria, che rende omaggio alla sua terra ed alla campagna dove è nato e dove vive.

La mostra rimarrà sempre aperta al pubblico per volontà del direttore del parco di Himera, Solunto e monte Jato, Stefano Zangara, che ha così restituito alla fruizione le sale al piano terra dell’antico Fondaco. Si tratta di una delle prime stazioni di sosta per i viandanti nella storia siciliana, che fonti documentate fanno risalire alla fine del XIV secolo, attiguo alla costruzione che ospita l’impianto termale. L’intera struttura è infatti da pochi mesi rientrata a far parte della gestione del Parco archeologico di Himera.

Ed è subito alto l’interesse del pubblico per il sito di sicure origini arabe, come dimostrano i resti delle iscrizioni in caratteri cufici rinvenuti lungo il frontone esterno. L’impianto interno, con le vasche per l’abluizione, che ancora oggi soffrono della mancanza dell’acqua termale che non sgorga più nell’antico impianto dalle fonti del monte Chiarastella come in passato, è il centro della mostra fotografica. Poi si entra come in un viaggio tra i borghi della provincia interna ed agricola alle spalle della città di Palermo, un mondo antico rimasto come per miracolo intatto, con le sagome di castelli e masserie, oggi di nuovo al centro dell’interesse dei nuovi “turismi” alternativi e sostenibili.

La visita delle Terme arabe e della mostra si completa con la salita al castello di Cefalà, oggi riaperto grazie a giovani volontari. Fu eretto in epoca federiciana come baluardo difensivo a guardia del fiume Eleuterio. “È la vita legata all’agricoltura che ho vissuto qui da ragazzo – spiega Barbaria, che da anni è ormai attivo per la promozione e la salvaguardia dei beni culturali e ambientali del territorio – un patrimonio che sto negli anni rielaborando con la macchina fotografica, cercando di riprodurne i colori e le atmosfere, il silenzio della neve sui rami e la magia dei campi coltivati, il cielo e le stelle lontani dalla città. Il messaggio è il lavoro lungo ma fondamentale che abbiamo davanti in sinergia con gli enti del territorio, perché questo patrimonio naturalistico, culturale e sociale possa essere da volano per un turismo sostenibile, legato alla qualità della vita dei piccoli centri di provincia”.