Piero Accardi è uno dei maestri d’arte sacra che resistono ancora alla crisi del settore. Con le sue opere, nate nella bottega nel cuore della città, ha impreziosito tantissime chiese
di Laura Grimaldi
Aveva nove anni quando iniziò a muovere i primi passi nella bottega di argentatura e doratura del nonno. Oggi Piero Accardi è uno dei maestri argentieri d’arte sacra apprezzati in Sicilia e nel resto d’Italia, in Austria, Germania, Egitto e Brasile. È facile vederlo all’opera nel suo laboratorio nel centro storico di Palermo. In via del Parlamento 34, che scorre parallelamente all’antico Cassaro, a pochi passi da piazza Marina. È lì che Accardi crea e restaura preziose opere d’arte soprattutto ad uso liturgico.
Come l’ostensorio raffigurante un roveto ardente destinato alla chiesa della Madonna della Pace di Sharm El Sheik. Alla sua arte ed esperienza si sono affidati in tanti per delicati interventi di restauro. Ad esempio sulla secolare urna d’argento di Sant’Angelo, a Licata. Il maestro Accardi ha impiegato sette mesi per cesellare a mano i decori di quattro fasce, due di un metro e trenta e le altre di 90 centimetri. Oltre quattro metri di bandoni montati attorno all’urna settecentesca e arricchiti di ventidue margherite stilizzate e di ventisei candele ottenute piegando manualmente le lastre d’argento, poi cesellate a mano.
Nel 2009, insieme ad altri orafi, argentieri, studiosi e professionisti della città, il maestro Accardi ha dato vita al Comitato della festa di Sant’Eligio che da anni si batte per salvare ciò che resta dell’antica chiesa intitolata a Sant’Eligio, orefice di corte e vescovo di Noyon nel VII secolo. Un monumento seicentesco intimamente legato alla storia di una delle più importanti maestranze della città, quella degli orafi e degli argentieri, e oggi ridotto in rovina dal tempo e dall’incuria. Si trova in via Argenteria, alle spalle di piazza San Domenico, lì dove fin dal Medioevo erano concentrate le botteghe di argentieri e orefici tra le vie Materassai, Argenteria Vecchia e Ambra, nel quartiere della Loggia.
Pochi di loro resistono ancora alla crisi del settore e con impegno trasmettono l’arte orafa ai giovani che dalle scuole arrivano nei loro laboratori. Il maestro Accardi è tra questi. Con tutta la passione e l’arte che lo contraddistinguono, ha forgiato un calice in argento di quasi ottocento grammi da donare simbolicamente alla chiesa di via Argenteria per salvarla dal degrado e restituirla al culto e alla città. Quattro mesi di lavoro per creare una preziosa opera d’arte e richiamare l’attenzione delle istituzioni.
Un lunga ricerca storico – artistica ha preceduto la fase di lavorazione del calice che ha forme geometriche essenziali arricchite da eleganti motivi floreali in bassorilievo. A nome di tutti gli orafi e gli argentieri della città, Accardi ha creato a proprie spese un prezioso oggetto d’arte. Lo dice l’incisione in latino racchiusa in una delle formelle che compongono la base esagonale del calice: “Nobilis ars panormitanorum aurificum argentariorumque”. Sopra la scritta l’immagine dell’aquila, simbolo di Palermo, non con le ali spiegate come siamo abituati a vederla, ma basse. “Si raffigurava così prima del 1715 – spiega Piero Accardi – . Era il marchio del consolato di Palermo che veniva impresso sugli oggetti in argento solo dopo averne verificata l’autenticità. In periodo spagnolo è nella chiesa di Sant’Eligio che il console della maestranza punzonava gli oggetti preziosi davanti all’immagine della Madonna delle Grazie”.
Piero Accardi è uno dei maestri d’arte sacra che resistono ancora alla crisi del settore. Con le sue opere, nate nella bottega nel cuore della città, ha impreziosito tantissime chiese
di Laura Grimaldi
Aveva nove anni quando iniziò a muovere i primi passi nella bottega di argentatura e doratura del nonno. Oggi Piero Accardi è uno dei maestri argentieri d’arte sacra apprezzati in Sicilia e nel resto d’Italia, in Austria, Germania, Egitto e Brasile. È facile vederlo all’opera nel suo laboratorio nel centro storico di Palermo. In via del Parlamento 34, che scorre parallelamente all’antico Cassaro, a pochi passi da piazza Marina. È lì che Accardi crea e restaura preziose opere d’arte soprattutto ad uso liturgico.
Come l’ostensorio raffigurante un roveto ardente destinato alla chiesa della Madonna della Pace di Sharm El Sheik. Alla sua arte ed esperienza si sono affidati in tanti delicati interventi di restauro. Ad esempio sulla secolare urna d’argento di Sant’Angelo, a Licata. Il maestro Accardi ha impiegato sette mesi per cesellare a mano i decori di quattro fasce, due di un metro e trenta e le altre di 90 centimetri. Oltre quattro metri di bandoni montati attorno all’urna settecentesca e arricchiti di ventidue margherite stilizzate e di ventisei candele ottenute piegando manualmente le lastre d’argento, poi cesellate a mano.
Nel 2009, insieme ad altri orafi, argentieri, studiosi e professionisti della città, il maestro Accardi ha dato vita al Comitato della festa di Sant’Eligio che da anni si batte per salvare ciò che resta dell’antica chiesa intitolata a Sant’Eligio, orefice di corte e vescovo di Noyon nel VII secolo. Un monumento seicentesco intimamente legato alla storia di una delle più importanti maestranzedella città, quella degli orafi e degli argentieri, e oggi ridotto in rovina dal tempo e dall’incuria. Si trova in via Argenteria, alle spalle di piazza San Domenico, lì dove fin dal Medioevo erano concentrate le botteghe di argentieri e orefici tra le vie Materassai, Argenteria Vecchia e Ambra, nel quartiere della Loggia.
Pochi di loro resistono ancora alla crisi del settore e con impegno trasmettono l’arte orafa ai giovani che dalle scuole arrivano nei loro laboratori. Il maestro Accardi è tra questi. Con tutta la passione e l’arte che lo contraddistinguono, ha forgiato un calice in argento di quasi ottocento grammi da donare simbolicamente alla chiesa di via Argenteria per salvarla dal degrado e restituirla al culto e alla città. Quattro mesi di lavoro per creare una preziosa opera d’arte e richiamare l’attenzione delle istituzioni.
Un lunga ricerca storico – artistica ha preceduto la fase di lavorazione del calice che ha forme geometriche essenziali arricchite da eleganti motivi floreali in bassorilievo. A nome di tutti gli orafi e gli argentieri della città, Accardi ha creato a proprie spese un prezioso oggetto d’arte. Lo dice l’incisione in latino racchiusa in una delle formelle che compongono la base esagonale del calice: “Nobilis ars panormitanorum aurificum argentariorumque”. Sopra la scritta l’immagine dell’aquila, simbolo di Palermo, non con le ali spiegate come siamo abituati a vederla, ma basse. “Si raffigurava così prima del 1715 – spiega Piero Accardi – . Era il marchio del consolato di Palermo che veniva impresso sugli oggetti in argento solo dopo averne verificata l’autenticità. In periodo spagnolo è nella chiesa di Sant’Eligio che il console della maestranza punzonava gli oggetti preziosi davanti all’immagine della Madonna delle Grazie”.