Un piccolo scrigno che custodisce pareti decorate con un ciclo pittorico dedicato a santi e filosofi dell’arte medica. Lo spazio, mai aperto al pubblico, sarà reso fruibile dopo un intervento di restauro e un inedito allestimento museale
di Giulio Giallombardo

Era una fucina di unguenti, balsami e sciroppi. Il luogo in cui prendeva forma uno dei pilastri della Regola benedettina: “Dei malati bisogna avere cura prima di tutto e al di sopra di tutto”. L’antica farmacia dell’abbazia di San Martino delle Scale si prepara, per la prima volta, ad essere svelata e restituita alla comunità. Un nuovo spazio dell’enorme complesso monastico a due passi da Palermo sarà presto restaurato e reso visitabile. In queste settimane le maestranze del monastero sono al lavoro per rendere accessibile la sala che si affaccia sulla grande corte dei mestieri.

Un piccolo scrigno che custodisce pareti affrescate, restaurate una decina di anni fa, decorate con un ciclo pittorico dedicato a santi e filosofi dell’arte medica. Ci sono patroni sia dei medici che degli speziali, Luca, Cosma e Damiano, accanto a Ippocrate ed altri pensatori e medici dell’antichità, mentre al centro della volta campeggia un affresco che rappresenta Cristo guaritore. “Stiamo intervenendo per completare l’intervento avviato qualche anno fa – spiega l’abate del monastero di San Martino delle Scale, don Vittorio Rizzone – . Soprattutto nella parte inferiore e nella controfacciata bisogna riportare alla luce alcune figure e partiture geometriche, ripulendole da incrostazioni”.
“Non sappiamo con certezza a quando risalgono gli affreschi, anche se dallo stile e da alcuni dei personaggi ritratti possiamo dedurre che siano cinquecenteschi”, afferma Belinda Giambra, restauratrice e docente dell’Accademia di Belle Arti Abadir, che ha sede all’interno del complesso monastico.

Sul pavimento della sala è stata installata una pedana mobile, in pannelli di legno multistrato, mentre al centro risaltano alcune maioliche ottocentesche recuperate dai restauri precedenti. “Abbiamo anche realizzato un impianto elettrico non invasivo, che passa sottotraccia – aggiunge don Rizzone – e presto sistemeremo alle pareti scaffalature e vetrine per l’esposizione di attrezzature da farmacia e vasi in ceramica provenienti da Sciacca e Caltagirone, riproduzioni filologiche degli originali che oggi si trovano nei depositi dello Steri”.

All’interno della farmacia monastica si conservavano medicamenti, decotti, sciroppi, infusi che venivano preparati nell’attigua fornace, a cui era collegata da una porticina oggi murata. Nelle vetrine e scaffalature – ricostruisce lo storico Fabio Cusimano in un articolo pubblicato sulla rivista MediaevalSophia – si trovavano 43 vasi in ceramica maiolicata, dove all’interno venivano conservati preparati medicinali, spezie e unguenti. Nella biblioteca al piano superiore, invece, erano custoditi due grandi contenitori cilindrici su tre piedi con coperchio e teste di leoni in rilievo; un grande vaso ovoidale con due manici a forma di leone; un vaso con anse formate da serpenti e un antico mortaio di bronzo, oggi – scrive Cusimano – conservati a Palazzo Abatellis, sede della Galleria regionale della Sicilia.

Oggetti e strumenti che, insieme agli arredi, furono alcuni trasferiti e altri dispersi, insieme a parte del patrimonio dell’abbazia dal 1866, dopo la soppressione degli ordini religiosi. A seguito di una lunga diatriba burocratica, che si protrasse per più di un decennio, – annota lo storico Cusimano – il trasferimento dell’arredo della farmacia avvenne solo nel 1878. “I quattro grandi vasi dell’ex-biblioteca, i 43 vasi e il mortaio in bronzo della farmacia, vennero consegnati all’allora Museo Nazionale, ma il numero di ingresso non venne apposto sui singoli manufatti che si confusero con altri vasi già esistenti e provenienti da altre collezioni”.
Adesso, seppur non siano i pezzi originali, vasi, scaffali e arredi molto presto torneranno a circondare le pareti dell’antica farmacia. Una ricostruzione che rientra fra gli interventi di valorizzazione dell’intero complesso monastico portati avanti dai monaci. “Stiamo lavorando per creare in abbazia delle condizioni di accoglienza e condivisione di un bene che non è nostro, ma di cui noi siamo i custodi – sottolinea don Rizzone – . L’importante è aprire e creare interesse e movimento attorno all’abbazia. È il criterio che guida tutte le nostre scelte. Noi monaci ci prendiamo cura di un patrimonio che ci hanno lasciato i nostri padri, con la missione di trasmetterlo agli altri”.