Dalla geometria dei viali alle statue, dalle iscrizioni alle finte rovine, visitare il giardino nel centro di Palermo è come seguire un cammino iniziatico
di Emanuele Drago*

Villa Giulia, nel centro di Palermo, oltre ad essere amata per il suo profondo valore letterario (basta ricordare il riferimento a Nausica scritta da Goethe) veicola una serie di significati magico-simbolici che non lasciano di certo indifferenti i visitatori più avveduti. È opportuno, dunque, ritornare idealmente a visitarla, per mettere in evidenza il valore esoterico della planimetria, dei viali e delle finte rovine. E nel fare questo non possiamo che partire da quello che in origine era l’ingresso principale, il grande arco che si affaccia sul Foro Italico e ai cui lati, su due piedistalli, si trovano collocati due leoni in marmo, con accanto due grosse anfore. Le anfore si presentavano chiuse da due grossi coperti, ma, una volta valicato l’arco, il visitatore, all’inizio di ogni sentiero, ne ritroverà altre completamente in tufo.

Ora, agli amanti delle simbologie non sfuggirà certo il fatto che nella piccola piazzola le anfore – contrariamente a quelle che si trovano all’esterno – sono prive di coperchio. Un chiaro segno che allude all’esperienza del disvelamento dei segreti che la villa intende custodire. Sul versante occidentale, che sembra guardava a Monte Pellegrino, nel punto in cui si intersecano le due cancellate, si trova la base in cemento di un vecchio edificio di forma pentagonale. Il pentagono allude dell’antico pentagramma o pentalfa pitagorico che indica la strada agli iniziati. E si tratta di una strada che consiste nella progressiva presa di coscienza dello spirito, che come un bambino incosciente diventa pian piano adulto e consapevole. E d’altronde non è affatto casuale che in quella parte della villa si trovino le statue di due figure infantili: il pescatore di ricci di Benedetto Civiletti e una statua bronzea che raffigura un bambino di una popolazione d’oltremare.

Altri illuminanti simboli si trovano sulla parte opposta. Il primo è una piccola pigna che svolge la funzione di getto d’acqua e che rimanda al terzo occhio, l’”inneres auge” che possiede lo spirito e che sa cogliere l’eternità dell’anima. Non distante dalla pigna c’è una caffetteria, che dietro una delle colonne custodisce un’iscrizione latina molto esplicativa la quale recita “per lo zelo dei senatori, la piacevole sinfonia diletta il popolo, mentre i venti al calar della sera invitano verso il mare”. Insomma, un passo di Ovidio che riesce a sintetizzare perfettamente cause e finalità che i committenti, nell’edificare la Flora, – così era anche conosciuta Villa Giulia – vollero perseguire.

In prossimità della caffetteria è possibile scorgere una montagnola, ai cui piedi si trova collocato un altro piccolo tempio; una ricostruzione di una rovina greco romana, al centro della quale si staglia il busto acefalo e privo di arti inferiori e superiori di una divinità. Il rimando all’Apollo di Piazza Armerina, oppure al Torso del Belvedere dei Musei Vaticani sembra evidente. Sopra il tempietto v’è un piccolo sentiero alla cui cima è possibile scorgere un orologio solare inciso sulla pietra; perché la luce, come il tempo, sono prerogative di Apollo, il figlio di Zeus, la divinità che protegge le arti e la poesia, discipline a cui l’intera planimetria della villa rimanda.

Appena oltre la montagnola, sempre più a sud ovest, si trova il sacrario degli uomini illustri, coloro che hanno fatto grande la Sicilia durante l’età greco romana. Per la verità, non si tratta di un vero e proprio sacrario, ma di una sorta di luogo immaginario in cui sono disposte in circolo le riproduzioni delle tombe del primo drammaturgo Teocrito, del filosofo Empedocle, dello storico Diodoro Siculo, del letterato Calpurnio panormita (che ai tempi di Nerone era a servizio della famiglia dei Pisoni) e soprattutto del grande Archimede Pitagorico. Ora, proprio il cenotafio di Archimede è ciò che sorprende il visitatore più avveduto. Infatti, sebbene Archimede non risulti fosse stato sepolto a Palermo, tuttavia la riproduzione della tomba sembra corrispondere fedelmente a quella ritrovata casualmente al tempo di Cicerone e descritta nelle “Le Tusculanae”.

Altre due tappe scandiscono la passeggiata dentro la villa: la vista della statua di Diogene e quella della straordinaria statua del Genio di Palermo. Ebbene, il grande filosofo cinico accovacciato su una roccia con ai piedi i simboli del suo magistero, una lanterna e un bastone, non rappresenta altro che un augurio, l’auspicio che anche lo sviluppo della Palermo extra moenia avvenisse e si fondasse su criteri di saggezza (Diogene di Sinope, nonostante la grande saggezza, visse ai margini di Atene). E non è un caso che proprio non distante dalla statua di Diogene si trovi la piazzola dentro cui fa bella mostra di sé la statua del Genio di Palermo, il Genius Loci, il nume tutelare della città, il vegliardo che prima della stessa Santa Rosalia aveva avuto il compito di proteggere il capoluogo dell’Isola dalle avversità e dai i peggiori mali; mali che vengono rappresentati da alcune statue allegoriche, poste in maniera semicircolare di fronte al genio. Si tratta della maldicenza, dello scisma religioso, del maomettanesimo, dell’ozio e dell’eresia, oltre naturalmente alla carestia.

Dalla piazzola del genio si giunge poi al centro della villa, nel punto nevralgico del mandala e della rosa dei venti. Ma quel baricentro è anche il luogo in cui nell’Ottocento venivano celebrati i concerti, attorno alle quattro esedre in stile pompeiano ed a forma di orecchio. Ebbene, in quel preciso punto, non si può non rimanere affascinati da quel grosso putto, con una testa molto più grande del corpo, che sorregge un dodecaedro; un solido le cui facce, nell’arco della giornata, vengono riflesse dai raggi solari. Ancora una volta, nel fulcro della planimetria si ripresenta l’indissolubile e interscambiabile tema che lega l’uomo al tempo.
*Docente e scrittore