Il cantautore si è spento nella sua casa di Milo, alle pendici dell’Etna. È stato tra i più grandi sperimentatori della musica d’autore italiana
di Antonio Schembri

Nel 1980 Franco Battiato arrivò come ospite a una puntata di Domenica In di piena primavera, emaciato e coperto da un trasandato impermeabile. Pippo Baudo, grande talent-scout che in quel momento non aveva però fatto in tempo a cogliere senso e significati dei testi di quell’artista trentenne dall’espressione stralunata che già viaggiava a qualche anno luce di distanza dalle banalità nazional-popolari della contemporaneità, scherzò sull’apparente incongruità e la “tristezza” di quel soprabito, ricevendo in timida e impacciata risposta questa asciutta puntualizzazione dal cantautore: “fuori è instabile e sono di passaggio”.

Il passaggio terreno di Franco Battiato si è concluso stamattina, a 76 anni, nella sua residenza di Milo, ai piedi dell’Etna. Già da tempo, sebbene la sua famiglia tacesse sulle sue condizioni di salute, era noto che queste non fossero buone. Le ultime notizie risalgono al brutto incidente domestico di quattro anni fa, costato al cantautore la frattura di femore e bacino. Un viaggio lungo 50 anni, il suo, che lo ha visto spaziare tra generi musicali diversi: dal pop elettronico di inizio carriera – la fase “milanese” caratterizzata da canzoni di protesta, che lo vide apparire in tv per la prima volta nel programma “Diamoci del Tu” condotto da Giorgio Gaber, diventato suo grande amico – a lavori di sapore romantico, con profonde immersioni nella musica sperimentale. Un avanguardista, sempre.

Un maestro del libero pensiero, con note e parole, spesso ironiche e provocatorie, come quelle contro l’imbecillità diffusa e le immondizie musicali evocate nel suo “Up Patriots to Arms”, pezzo del 1980. E a volte durissime, dagli effetti burrascosi. Quelle pronunciate a appena cinque mesi dall’incarico di assessore alla Cultura della giunta regionale siciliana costrinsero l’allora neopresidente Rosario Crocetta a revocargli l’incarico: “Nelle casse dell’assessorato – disse Battiato – non c’è più un euro, hanno rubato tutto”. Per poi alzare il tiro e rincarare la dose contro una certa destra italiana e, in questo caso indipendentemente dalle bandiere di partito, contro la diffusa attitudine al compromesso e al mercimonio politico dentro i palazzi del potere, a cominciare dal Parlamento.

Fondati incidenti di percorso, da molti frettolosamente bollati come inopportuni; ma che si annullano di fronte alla sua cifra di compositore geniale, di poeta, filosofo, uomo di cultura sterminata incline alle suggestioni dell’Oriente. Talento precoce, quello di Franco Battiato, nato a Ionia, come negli anni ‘40 era ancora chiamato il verghiano centro costiero di Giarre-Riposto. Una passione musicale mostrata sin da bambino, un sogno diventato totalizzante in giovinezza al punto da indurlo a abbandonare gli studi universitari per diventare il solco di un repertorio straordinario, nel quale è davvero difficile eleggere canzoni migliori di altre.

Resteranno incise nella memoria dei suoi tantissimi appassionati brani come “L’era del Cinghiale Bianco”, riferimento alla cultura celtica di cui questo animale era simbolo, perduta età dell’oro da vagheggiare al posto di una modernità senza più riferimenti spirituali; così come i testi di “Bandiera Bianca”, che prendono di mira l’immoralità del terrorismo e della politica e di “Centro di gravità permanente”, sull’urgenza di superare il senso di smarrimento contemporaneo attraverso la ricerca di una dimensione intima del sé. Canzoni perno queste ultime, de “La voce del padrone”, album di 40 anni fa, il primo in Italia a superare il milione di copie vendute. Tutti testi affascinanti, ricchi di riferimenti eruditi. Uno su tantissimi, (proprio in “Centro di gravità permanente”), quello sui “gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi alla corte della dinastia dei Ming” rimanda alla figura di Matteo Ricci, l’avventuroso esponente della Compagnia di Gesù giunto fino in Cina nella sua azione evangelizzatrice.

E canzoni epocali come “La Cura”, celebrazione dell’amore nella sua forma più alta e “E ti vengo a cercare”, pezzo uscito nel 1988, uno degli emblemi della traiettoria spirituale del maestro etneo: “Questo secolo oramai alla fine, saturo di parassiti senza dignità, mi spinge solo ad essere migliore con più volontà. Emanciparmi dall’incubo delle passioni, cercare l’Uno al di sopra del bene e del male”. Franco Battiato non si è mai staccato dalla sua Sicilia, gli scenari del vulcano e della costa verghiana sono stati il cuore del suo pianeta musicale. “Il suo inconfondibile stile – frutto di intenso studio e febbrile sperimentazione – ha dichiarato a caldo stamattina il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – ha affascinato un vasto pubblico, al di là dei confini nazionali”.