Si è inaugurata la mostra “RE”, una collettiva che riflette sull’abbondanza di immagini del presente e sugli effetti del mondo virtuale
di Redazione

Nell’epoca in cui reale e virtuale si sovrappongono, sedici artisti rileggono la contemporaneità in una collettiva nelle Sale Duca di Montalto di Palazzo Reale, a Palermo. Si è inaugurata oggi la mostra “RE”, un tentativo di riscrittura della realtà, che non può prescindere dalla necessità di “rinascita” (REbirth), “ricostruzione” (REconstruction), “riavviamento” (REboot), come recupero di un’esistenza non omologata. Un titolo che evoca da subito il senso del progetto, ossia l’esigenza e lo slancio vitale a rielaborare e riorganizzare le proprie azioni dopo eventi annichilenti come la pandemia, la regressione democratica e la guerra.

La mostra – organizzata dalla Fondazione Federico II, in collaborazione con la Fondazione Burri, la Collection Lambert en Avignon, Galleria Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, la Fondazione Pistoletto e collezioni private – vede confrontarsi grandi artisti contemporanei, che simboleggiano sedici cammini per schiudere la riflessione sulla realtà: Alberto Burri, Saint Clair Cemin, Tony Cragg, Zhang Hong Mei, Anselm Kiefer, Jeff Koons, Sol LeWitt, Emil Lukas, Mimmo Paladino, Claudio Parmiggiani, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Tania Pistone, Andres Serrano, Ai Wewei e Gilberto Zorio.

Sedici sensibilità diverse, che puntando il dito nella piaga di un ridente conformismo che spesso ha lacerato la creatività, immergono il fruitore in una dimensione riflessiva e di funzione sociale dell’opera d’arte. L’overdose di immagini del mondo contemporaneo e del mondo virtuale fa sì che il vero assente sia il reale corpo del mondo, che la coscienza opacizza fino a renderlo assente. Allora, sono in mostra opere che hanno riacceso l’orizzonte dell’arte, riscoperto l’essenzialità del linguaggio e, in taluni casi, una spiritualità non ipocrita. Una prospettiva semantica che non riduce la realtà ad immagine stereotipata.

“La domanda che la Fondazione si è posta nel periodo acuto della pandemia di chiusure e di riaperture singhiozzanti, – sottolinea Gianfranco Miccichè, presidente della Fondazione Federico II – è come ripensare al nostro progetto di mostra. Un evento culturale-allestitivo che ponesse il dito sulla piaga di una grande domanda cosa resterà della storia recente? Ci troviamo davanti ad un bivio: procedere come se nulla fosse accaduto o, scelta che abbiamo preso, provare ad impegnarci per una proposta culturale con l’obiettivo di una umanità rigenerata”.

“Misurarsi con uno squilibrio improvviso generato da una crisi pandemica e dalle guerre – dice Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione Federico II – ha risvegliato coscienze, come sottolineato da sociologi e analisti, e ha rivelato le profonde carenze della nostra maniera di pensare e di concepire noi stessi nel mondo, nel rapporto con gli altri, con la natura. In arte ciò si è tradotto nella capacità di ritrattare i temi della spiritualità, della socialità, dei diritti umani, della democrazia, della natura contro le vecchie e nuove barbarie semplificatrici. Espressioni e linguaggi dell’arte contemporanea che hanno saputo opporre resistenza all’approccio dei fondamentalismi evitando le scorciatoie che non consentono la lettura dei cambiamenti, della ricchezza delle differenze – contro una lettura monotono che ammette un singolo linguaggio, una singola voce, una singola storia”.
La mostra è visitabile fino al prossimo 31 ottobre, dal lunedì al sabato dalle 8,30 alle 16,30 (ultimo ingresso); domenica e i giorni festivi dalle 8,30 alle 12,30 (ultimo ingresso).